Dottoressa in trincea e spesso picchiata: vi racconto lo sfascio della sanità calabrese

Marianna Rodolico da una vita in Pronto soccorso allo Jazzolino di Vibo Valentia denuncia le falle del servizio emergenza-urgenza

Eccola la gestione della rete dell’emergenza. Le sue falle vengono raccontate e denunciate ogni giorno. Molti non le vedono o, più semplicemente, non le vogliono vedere, perché in Calabria la sanità viene gestita e immaginata come se fossimo a Bolzano o nelle regioni del Nord: Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Veneto… Provate a chiedere ad un medico di trincea, che vive e lavora al Pronto soccorso dell’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia e, forse, vi renderete conto di cosa funziona ma, soprattutto, di tutto quello che non va e dei rischi che medici, sanitari e pazienti corrono giorno per giorno.
Lei è Marianna Rodolico; medico competente, attento, scrupoloso. Coraggio da vendere, fino ad apparire scorbutica. Per il suo carattere deciso, schietto, di quelli che non nascondono nulla, ha preso anche botte in Pronto soccorso e non una sola volta. E allora, chi meglio di lei può parlare di sanità? Soprattutto della rete dell’emergenza-urgenza? Chi vive alla Cittadella? Oppure quelle persone in divisa che vengono dislocate al comando delle varie Asp calabresi?
Sono punti di domanda ai quali qualcuno dovrebbe dare anche una risposta. Ma per adesso e lei, Marianna Rodolico, a parlare e lo ha fatto senza cercare i giornalisti ma con un post sul suo profilo facebook che vale la pena riprendere.
<La gestione del soccorso sanitario sul territorio calabrese, cambiata da qualche mese, ha dei risvolti devastanti. Chi paga è sempre il paziente. Come? Attendere sul territorio un’ambulanza la cui gestione dipende da Cosenza, che rimbalza la palla a Catanzaro, da cui parte una comunicazione alle periferie che consente di intervenire sul luogo di un evento, un territorio individuato con Google maps con ambulanze dislocate, spesso private, spesso senza medico, con soccorritori inesperti e infermieri disperati.
Risultati? Ritardi nei soccorsi, incompetenza nella gestione, confusione nelle priorità>.

Ma non è tutto. Perché il medico dello Jazzolino va avanti e aggiunge. Questo sistema registra <pazienti che giungono in ospedale deceduti, altri senza terapia, altri, senza indicazioni diagnostiche, altri, visto il ritardo nei soccorsi, con mezzo proprio>.

Ma non è tutto. Perché il medico dello Jazzolino va avanti e aggiunge. Questo sistema registra <pazienti che giungono in ospedale deceduti, altri senza terapia, altri, senza indicazioni diagnostiche, altri, visto il ritardo nei soccorsi, con mezzo proprio>.

Eppoi ancora <altro risultato è l’intasamento di barelle in pronto soccorso per la confusione dei codici di priorità. Ma non finisce qui, perché l’altro dramma sono i trasferimenti da ospedale ad altro ospedale. Inizia la via crucis, telefonata alla centrale di Cosenza con un numero a 9 cifre con, ben che vada, 5/ 10 minuti di attesa nella risposta, comunicazione passata a Catanzaro che chiede notizie del trasferimento su telefono registrato, ma non basta, si chiede anche una mail da inviare con i dati anagrafici del malato, la malattia e il codice di uscita, tutto ciò nei tempi preziosi di un medico di pronto soccorso che gestisce anche le altre urgenze. Poi dalla centrale di Catanzaro la comunicazione al territorio per il trasferimento. Questo che si racconta è l’iter quotidiano di una gestione sanitaria complicata e strafottente, dove la burocrazia prende il sopravvento sulla salute e sulla vita delle persone e la rabbia prende il posto della comunicazione tranquilla>.

In questo contesto, fa nota un paradosso pauroso e indecente, che testimonia in concreto, la confusione e il delirio, sembrando una storia surreale, <assistere in pronto soccorso ad un comando di rientro in sede, a Tropea, di un ambulanza vuota, senza paziente, equipaggiata anche di medico, perché il protocollo non prevede che un malato da trasferire, da tre giorni in attesa per un posto letto, venga fatto con quella ambulanza. Ma di quale protocollo parliamo? Sicuramente del protocollo che dà senso a questa polemica, prima le regole, le perfezioni, il dovere, la burocrazia, poi il malato, che se aspetta da 3 giorni, può ancora attendere sulla barella per chissà quanto tempo ancora>.
Marianna Rodolico non aggiunge altro: <Il commento lo lascio ai lettori, la rabbia ai cittadini, ai malati, agli operatori sanitari che quotidianamente dedicano con impegno, dedizione e sudore il proprio operato professionale alla cura di chi soffre, lottando contro una assurda politica sanitaria che pone come priorità la burocrazia e come ultimo interesse, la salute dei pazienti>. (foto web)

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