“Cristo è risorto!”, “E’ veramente risorto!”.
Chi si fosse trovato a passare per la Cerasarella, la sera di sabato 4 maggio, avrà con stupore sentito questo annuncio gridato dalla ben nutrita comunità ortodossa della città.
Chi si fosse trovato a passare per la Cerasarella, la sera di sabato 4 maggio, avrà con stupore sentito questo annuncio gridato dalla ben nutrita comunità ortodossa della città.
La gioia di chi testimonia la vittoria definitiva sulla morte e il prossimo ingresso nella beatitudine eterna. Una gioia incontenibile, accresciuta da una dura preparazione quaresimale nel digiuno e nell’astinenza.
I quaranta giorni della Grande Quaresima sono caratterizzati da astensioni significative, donate per amore a Dio Padre in forza del sacrificio del suo divino Figlio. Ancor prima che questa abbia inizio, nella settimana precedente si rimuovono dal proprio regime alimentare la carne e i suoi derivati, con la concessione di cibarsi di uova e latticini eccezionalmente anche di mercoledì e venerdì. Alla “Settimana dei latticini” seguono restrizioni più dure, fra cui 60 ore trascorse privandosi di qualsiasi alimento, e in base ai giorni si allontanano dalle tavole anche uova e latticini, oltre al vino e all’olio.
Sembrerebbero, dall’esterno, imposizioni ultradatate e troppo eccessive, tanto che non la totalità delle e dei fedeli riesce a seguirle tutte in maniera pedissequa. A vincere la ritrosia del corpo, segnato per l’intera esistenza in questa vita dalla macchia del peccato, è però la virtù della fede, esperienza costante del Paradiso sulla Terra. A guidare le celebrazioni, nella chiesa di Sant’Omobono, i protopresbiteri padre Vincenzo Lorizio – parrocchia di San Sofronio di Essex a Vibo Valentia – e padre Igor Shvetz – parrocchia dei Santi Boris e Gleb a Gioia Tauro – , entrambi chierici della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale.
Il luogo di culto, per l’occasione, è stato spogliato dei posti a sedere solitamente in mezzo alla navata: spazio a giovani e adulti convenuti con le proprie famiglie. Ciascuna di esse si è presentata deponendo con vivida devozione, ai piedi del presbiterio, i tradizionali cestini ricchi di tante prelibatezze e ricoperti di tessuti caratteristici. Ciò che più è mancato sotto i denti era ora pronto per essere benedetto al termine della liturgia e degustato nel festoso pranzo della domenica, dalle immancabili uova colorate ai dolci fatti in casa.
Le tre ore di preghiera si sono sapientemente sviluppate secondo un dinamismo che potrebbe richiamare i concitatissimi momenti successivi alla risurrezione. Dall’interno, una volta convenuti per il ritrovo, ci si è mossi all’esterno. E sul sagrato si è dato il primo annuncio dell’evento più epocale nella Storia. Rientrare in chiesa, simbolo della Gerusalemme celeste, ha significato così la sconfitta delle tenebre e l’attesa della prossima risurrezione dei corpi, stavolta gloriosi e incorruttibili.
Non si contano gli istanti in cui tra le sacre mura sono riecheggiate le grida “Cristo è risorto!” ed “E’ veramente risorto!”, contornate da continui incensamenti contro gli spiriti maligni e in memoria delle apparizioni che Gesù compì prima di ascendere al cielo. Gli attimi conclusivi, con in mano candele accese in onore della Luce discesa nel mondo e salvatrice dell’umanità, sono stati doverosamente dedicati allo scambio di auguri fraterni e sentiti.
Nella catechesi di San Giovanni Crisostomo, letta a un certo punto della serata, un messaggio di speranza cristiana che ciascuno è chiamato ad accogliere. Chi merita la ricompensa non tarderà a riceverla, che sia della prima o dell’ultima ora. La certezza della mercede non lascia adito a invidie personali: a ognuno spetta quanto gli era stato promesso. Non sta all’operaio sindacare sull’operato del padrone, quando Egli sa essere amorevole e misericordioso pure con il ritardatario.