Sanità vibonese sulla graticola. Non c’è angolo del territorio provinciale, dalla fascia costiera alle Serre passando per tutta l’area centrale, sul quale non insista un serio problema sanitario. A tanto lievitante sfascio fa da contraltare un apparato aziendale incapace di fronteggiare qualsiasi emergenza e un apparato politico e sindacale del tutto inefficace, mentre le istituzioni continuano a giocare un ruolo non all’altezza della situazione.
Mille carenze
Mille carenze
In realtà, l’utente si trova alle prese con carenze che sfiancano ogni resistenza: liste d’attesa infinite, impossibilità di trovare un posto letto in ospedale, medicina territoriale in stato di abbandono, mancanza di medici di base e di medici ospedalieri, guardie mediche a singhiozzo, farmaci spesso e volentieri non prescrivibili, servizio emergenza con tempi biblici. I Livelli essenziali d’assistenza sono lontani dall’essere garantiti. A pagare il prezzo più alto sono, naturalmente, i pensionati, gli anziani soli, i disoccupati, tutte le fasce deboli. Per queste categorie che non hanno santi in paradiso, sperare di curarsi nel sistema pubblico diventa una chimera, mentre accostarsi al privato è qualcosa di semplicemente inimmaginabile anche perché il governo italiano quando decide di aumentare le pensioni sociali si guarda bene dall’andare oltre i tre euro mensili.
La maglia nera
E se, in sostanza, la sanità nel Vibonese indossa la maglia nera, l’Asp si colloca all’ultimo posto in Italia e l’assistenza non viene garantita, una domanda sorge davvero spontanea: come fa l’Azienda sanitaria vibonese a chiudere il proprio bilancio con quindici milioni di passivo se i servizi offerti sono al lumicino? Non avremo mai una risposta, ma appare chiaro che il sistema sanitario pubblico è ormai a gambe per aria. E se è a gambe per aria nonostante tutti i soldi che continua a ingoiare un motivo ci sarà di certo. Anzi, più motivi. Proviamo a focalizzarli. Il punto più caldo della situazione è il pronto soccorso dello Jazzolino. Qui ogni giorno la tensione è alle stelle. La chiusura dei reparti ospedalieri e il conseguente dimezzamento dei posti letto porta al sovraffollamento della struttura con malati parcheggiati nei corridoi per giorni e giorni con elevato rischio di mortalità perché il personale medico ha grosse difficoltà di gestione e diagnosi.
Negligenza amministrativa
Di pari passo cammina la precarietà del personale sanitario medico, infermieristico e ausiliario che l’Asp non stabilizza per colpa di un esubero che, alla fine, viene cancellato grazie al lavoro di una commissione costretta a fare in pochi giorni il lavoro che gli addetti non hanno mai fatto. Addirittura, rivisitando tutta la pianta organica ospedaliera, ci si è accorti che c’è parecchio personale che manca. E i posti liberi potrebbero aumentare quando dalle piante organiche dei vari comparti si provvederà a depennare i nominativi di dipendenti che risulterebbero ancora in servizio, mentre sarebbero stati già trasferiti da anni. Negligenza questa che porta a galla serie pecche nella gestione amministrativa.
Medici cubani
Negli ultimi giorni, tra l’altro, sarebbe andato in tilt anche il servizio trasfusionale del presidio vibonese a causa della mancanza di dirigenti medici e biologi. Nei casi d’emergenza, per reperire sangue, s’è dovuto bussare e si continua a bussare al presidio di Catanzaro con seri rischi per i pazienti in difficoltà. La situazione potrebbe peggiorare anche perché, non appena i medici cubani saluteranno Vibo, non sarà facile rimpiazzarli e i reparti torneranno in chiara sofferenza. Probabilmente, si proverà a tamponare con le prestazioni a gettoni e con esborsi esorbitanti, ma i problemi non si risolveranno, semplicemente si espanderanno a dismisura. E che i servizi siano in sofferenza grave lo dimostra da tempo anche la gestione della farmacia territoriale, sulla quale si sta tanto parlando per colpa del servizio offerto e delle carenze dei locali che la ospitano. Di fronte a denunce e proteste quotidiane, l’Asp sta cercando di correre ai ripari per migliorare il livello d’accoglienza. Da quello che si vede osservando i lavori in corso, ci ritroveremo alle prese col classico topolino a fronte di investimenti cospicui.
Ospedale-territorio
Nel tutto, si inserisce anche la mancanza di integrazione tra ospedale e territorio. Gli utenti assistono da sempre a due unità che si muovono su linee parallele senza incontrarsi mai. Così non dovrebbe essere perché il mancato dialogo tra le due parti impedisce il corretto orientamento delle cure e l’adeguata diagnostica per ogni assistito. E, purtroppo, i problemi non finiscono qui.
L’emergenza-urgenza
Merita un’attenta riflessione, infatti, il sistema emergenza-urgenza gestito in maniera del tutto inadeguata dalle due centrali operative di Cosenza e Catanzaro nelle cui stanze si muove personale che, probabilmente, non ha alcuna conoscenza del territorio calabrese e manca della necessaria esperienza. Il tutto si traduce in frequenti interventi di ambulanze non medicalizzate o gestite da soccorritori inesperti, nonché in ritardi inaccettabili. Il risultato è che, ormai, il malato cerca di arrivare in ospedale con mezzi propri e, a volte, manco ci arriva. Senza contare il dramma che ruota attorno ai trasferimenti del malato da un ospedale all’altro. Decine di telefonate, rimbalzi di telefonate tra le centrali operative e perdite di tempo che mettono a rischio la vita delle persone.
Il cerchio
A tutti gli aspetti sin qui evidenziati si aggiungano la mancata riassunzione degli operatori socio-sanitari ospedalieri, la negata contrattualizzazione del don Mottola di Drapia, i ritardi con cui vengono portati avanti i progetti delle Case di Comunità e degli Ospedali di comunità, i lavori al rallentatore per la costruzione del nuovo ospedale e il cerchio dell’inverno caldo quasi chiude. Diciamo quasi perché resta aperta una questione di estrema delicatezza: i lavori di messa in sicurezza dello Jazzolino. A poco più di un anno dalla scadenza dei termini fissati dal Pnrr (giugno 2026) ci si accorge che, per non perderli, vanno utilizzati subito i 25 milioni stanziati per la messa in sicurezza del presidio ospedaliero vibonese. Per lavorare in maniera spedita, i tecnici chiedono il trasferimento di almeno tre reparti a Tropea, il fronte medico si mette di traverso e chiede che i reparti vengano ospitati in tre ospedali da campo. Il confronto non si è ancora chiuso, intanto, però, il tempo scorre e cresce il dubbio sulla possibilità che possano essere realizzati lavori per 25 milioni in poco più di un anno.
Sul tavolo della Prefetta
Clima incandescente, dunque, che la politica non sa come spegnere, mentre la terna commissariale dell’Asp è quotidianamente alle prese con una patata bollente che difficilmente riuscirà a pelare. Anche perché, probabilmente, non sarà facile convincere il management aziendale a remare compatto nella giusta direzione. Intanto, lunedì torneranno davanti ai cancelli dell’ Asp i cinquanta dipendenti del don Mottola di Drapia ormai vicini al licenziamento, mentre mercoledì prossimo ci sarà un incontro tra il prefetto Anna Aurora Colosimo e la terna commissariale alla guida dell’Asp per discutere i problemi della saità nel Vibonese. Riuscirà la rappresentante dell’Ufficio territoriale di governo a smorzare la tensione?