Il fratello di Maria Chindamo: fiducia nello Stato ma ora vogliamo la verità

Inizia domani davanti alla Corte d'Assise di Catanzaro il processo a carico di Salvatore Ascone. Avrebbe avuto un ruolo nella scomparsa dell'imprenditrice agricola

Parte domani in Corte d’Assise a Catanzaro il processo a carico di Salvatore Ascone, detto “u pinnularu”, accusato di avere avuto un ruolo nell’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, Maria Chindamo, scomparsa davanti al cancello della sua azienda agricola, in località Montalto, il 6 maggio 2016 a Limbadi. Ascone, insieme al figlio Rocco avrebbe, secondo gli inquirenti, provveduto a «manomettere il sistema di videosorveglianza installato presso la sua proprietà, limitrofa a quella della Chindamo. Di quella triste vicenda ne ha parlato stamane a Bungiorno Regione (Rai Calabria) il fratello dell’imprenditrice, Vincenzo Chindamo.

<Maria era una donna normale, una donna decisa e determinata; una calabrese come la ’ndrangheta la definiva in alcune intercettazioni: “Una tosta”. Una donna che  non meritava di fare questa fine. Maria ha sempre scelto; sin da ragazzina, la ricordo benissimo, sapeva voleva fare; ha deciso di studiare, di laurearsi di fare la commercialista, l’imprenditrice agricola e, nello stesso tempo, la mamma di tre splendidi figli. A un certo punto ha deciso che la sua vita sentimentale doveva andare in un’altra maniera, aveva annunciato la separazione dal marito ma questo non gli è stato mai perdonato; il marito si è suicidato per via delle pressioni che ha ricevuto nell’ambiente in cui viveva. In seguito a questo Maria ha deciso di continuare lo stesso la sua vita, di continuare a lavorare occupandosi dell’azienda agricola e di continuare ad amare un altro; creandosi un’altra vita>.

<Maria era una donna normale, una donna decisa e determinata; una calabrese come la ’ndrangheta la definiva in alcune intercettazioni: “Una tosta”. Una donna che  non meritava di fare questa fine. Maria ha sempre scelto; sin da ragazzina, la ricordo benissimo, sapeva voleva fare; ha deciso di studiare, di laurearsi di fare la commercialista, l’imprenditrice agricola e, nello stesso tempo, la mamma di tre splendidi figli. A un certo punto ha deciso che la sua vita sentimentale doveva andare in un’altra maniera, aveva annunciato la separazione dal marito ma questo non gli è stato mai perdonato; il marito si è suicidato per via delle pressioni che ha ricevuto nell’ambiente in cui viveva. In seguito a questo Maria ha deciso di continuare lo stesso la sua vita, di continuare a lavorare occupandosi dell’azienda agricola e di continuare ad amare un altro; creandosi un’altra vita>.

Qui la ‘ndrangheta ha fallito

 Ma tutto questo,  secondo quanto afferma Vincenzo Chindamo davanti alle telecamere della Rai, <non è stato perdonato per cui secondo la Procura c’è un mandante, un presunto mandante, ovvero il suocero (deceduto qualche anno fa) che ha voluto far pagare a Maria la sua libertà, il suicidio del figlio e la nuova relazione; e poi – aggiunge ancora il fratello dell’imprenditrice – c’è una criminalità organizzata locale, quella di Limbadi che voleva appropriarsi delle sue terre, voleva le sue proprietà. Ma se mi posso permettere hanno fallito perché Maria e la sua voglia di libertà continua ancora ad esserci, a parlare all’interno delle scuole dei teatri e in tantissime iniziative in tutta Italia. La terra è ancora coltivata; il nome dell’azienda agricola e ancora Maria Chindamo e la cooperativa Goel, che è una cooperativa sociale che si oppone fortemente alla ’ndrangheta, si sta occupando di portarla avanti brillantemente e quelle terre oggi  sono tutte controllate dalle telecamere>.

Il verdetto di morte

E alla vigilia del processo Vincenzo Chindamo afferma: <Ho sempre avuto molta pazienza e fiducia nelle Procure che hanno lavorato sicuramente; ma ora la verità giudiziaria è una cosa che ci è dovuta che abbiamo chiesto sempre. Maria è stata accusata, processata e eseguita una pena di morte da un tribunale clandestino che in questo territorio voleva sostituirsi allo Stato e voleva sostituirsi a Dio ma le cose devono essere messe in ordine: esiste Dio che giudicherà il probabile mandante che nel frattempo è morto e ci sarà il Tribunale dello Stato italiano che mi auguro che giudicherà condannerà tutti i colpevoli di questa bruttissima vicenda>.

© Riproduzione riservata

Ti Potrebbe Interessare

L’annuncio nel giorno della presentazione della Vibonese nell’aula consiliare di palazzo Luigi Razza. L’auspicio: tutti insieme società e tifosi
Il giudizio riguarda il rendiconto della Regione relativo allo stato patrimoniale e all’esercizio finanziario 2023
La palla passa ora alla Protezione civile che si spera non risponda come accaduto in questi giorni a Vibo Valentia

Testata giornalistica registrata al Tribunale di Vibo Valentia n.1 del Registro Stampa del 7/02/2019. Direttore Responsabile: Nicola Lopreiato
Noi di Calabria S.r.L. | P.Iva 03674010792