Inaugurate le visite alle mura greche di Vibo Valentia: scopriamo l’antica Hipponion quest’estate

Un tesoro nascosto non più tra le erbacce bensì dall'indifferenza delle istituzioni. Ma la storia sta cambiando

Decine di appassionate e appassionati, nonché di professioniste e professionisti addetti ai lavori, hanno impugnato il torpore estivo partecipando alla storica apertura dei cancelli, avvenuta alla presenza di Maurizio Cannatà, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia.

Se, come si spera, il progetto ‘ArcheoVibo’ sarà riuscito a garantire un accesso prolungato al pubblico anche dopo il 30 settembre, stabile e sistematico, la data di domenica 7 luglio 2024 rischierà seriamente di entrare a ragione negli annali. Dal primo giorno si sono rispettati i due turni stabiliti per le visite, uno alle 18 e un altro alle 18:30, con l’apprezzato accompagnamento dell’archeologo Manuel Zinnà.

Se, come si spera, il progetto ‘ArcheoVibo’ sarà riuscito a garantire un accesso prolungato al pubblico anche dopo il 30 settembre, stabile e sistematico, la data di domenica 7 luglio 2024 rischierà seriamente di entrare a ragione negli annali. Dal primo giorno si sono rispettati i due turni stabiliti per le visite, uno alle 18 e un altro alle 18:30, con l’apprezzato accompagnamento dell’archeologo Manuel Zinnà.

L’area in cui insistono i resti delle mura greche è conosciuta con la denominazione di Trappeto Vecchio, sede di una fra le maggiori attestazioni di architetture militari magnogreche. È il settore Nord del versante collinare su cui sorgeva la colonia locrese, più che invidiabile punto strategico utile al controllo di chilometri e chilometri in qualsiasi direzione, dall’alto dei suoi 550 metri sul livello del mare.

Una pólis nel senso ellenico del termine: comunità che si consolida per difendersi da possibili attacchi nemici, composta di un centro urbano e un territorio rurale oltremodo integrati. Al di qua delle fortificazioni, la vita cittadina con le sue istituzioni e le sue attività; oltre il bastione, attorniato da larghi e profondi fossati, distesi terreni adibiti sia alle coltivazioni e all’allevamento sia alle sepolture.

I grandi blocchi degli oltre trecento metri rimasti sono costituiti di tenera arenaria calcarea, e permangono a essere visibili basamenti di torri difensive, insieme con alcune porte di ingresso – dai varchi minuti alle entrate monumentali – . Una di queste fu già in età coeva sbarrata, magari per questioni di sicurezza; si notano, d’altronde, evidenti segni di assedio, e in passato vennero recuperati perfino proiettili in ferro. Dall’esterno, l’imponenza restituiva agli stranieri l’idea di una Hipponion ricca e opulenta alla maniera di poche altre; sette chilometri di lunghezza per dieci metri di altezza.

Cinque fasi si distinguono nell’erezione del baluardo ancora in piedi, a dimostrazione di una certa vivacità che gli abitanti dovevano fronteggiare: all’inizio imperava una costruzione rettilinea con pietre a secco e un elevato in mattoni crudi, impasto di fango o argilla e paglia lasciato asciugare semplicemente all’aria aperta, tecnica da noi in uso sino ad anni recentissimi; successivamente si utilizzarono grossi massi irregolari giustapposti senza leganti, che sostenevano un terrapieno sul lato interno con torri a pianta rettangolare; si passò poi a blocchi regolari con un andamento rettilineo e con torri quadrate esterne; si arrivò così a un sistema ravvicinato di poderose torri circolari o semicircolari su base quadrata, più resistenti alle macchine belliche e sporgenti rispetto al resto della struttura poligonale; sono attestate, in conclusione, fessure atte all’uscita di guarnigioni per l’effettuazione di attacchi a sorpresa, con l’aggiunta di ulteriori torri cilindriche.

Con i Normanni si avviarono purtroppo la spoliazione del monumento e il riuso dei suoi materiali. Domenico Pignatari, studioso locale settecentesco, si dedicò all’epoca a una descrizione minuziosa dei tratti di mura emergenti dal suolo, seguito nell’Ottocento dal conte Vito Capialbi. Fu l’indimenticabile Paolo Orsi, infine, a condurre gli scavi un secolo fa per riportare alla luce del sole la sezione oggi tutelata.

Al termine del percorso, una macabra sorpresa. Una “tomba anomala”, senza corredo, scavata nell’Età moderna per ospitare il corpo di una donna pericolosa in vita, deposta in uno spazio non consacrato per evitare di farne vagare l’anima indisturbata. Chissà se ce l’avranno fatta.

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