C’è un’immagine che, più di mille comunicati, racconta cos’è oggi Lamezia: dentro il Palazzo di Città si parla di legalità, fuori qualcuno lascia bottiglie incendiarie e proiettili davanti alle case degli imprenditori. Non è solo una coincidenza di tempi: è un cortocircuito simbolico. È la fotografia di una città che prova a reagire, mentre la criminalità le risponde in tempo reale, quasi a voler ricordare a tutti chi detta i tempi e chi no.
Lo scandalo che non indigna
Lo scandalo che non indigna
Il punto non è più denunciare lo scandalo. A Lamezia lo scandalo non indigna più: logora. Consuma. E rischia di normalizzare l’idea che gli attentati intimidatori siano una parte inevitabile del paesaggio. Che un imprenditore, un commerciante, un professionista debba prima sperare di non essere colpito e poi, se colpito, limitarsi a contare i danni. E allora la domanda diventa scomoda, ma inevitabile: cosa vale una seduta aperta del Consiglio comunale se la città, fuori, continua a essere ostaggio della paura? Non basta elencare presenze istituzionali di peso, non basta dire “siamo vicini”, non basta parlare – per l’ennesima volta – di sinergie, tavoli permanenti, percorsi educativi, telecamere da installare, controlli da rafforzare. Sono tutte cose necessarie, certo. Ma la comunità ha smesso da tempo di emozionarsi davanti ai buoni propositi. Vuole fatti, risultati, una strategia che incida davvero nel quotidiano.
La città viaggia su binari paralleli
La verità è che Lamezia sembra vivere su due binari paralleli che non si incontrano mai. Sul primo, l’istituzione che parla, si confronta, analizza, promette. Sul secondo, la criminalità che agisce, colpisce, lancia segnali. E, finché le parole non raggiungeranno la stessa velocità dei gesti criminali, il divario continuerà a crescere. Non è una questione di mancanza di coraggio: molti imprenditori denunciano, resistono, non si piegano. Ma sono spesso lasciati soli o, comunque, percepiscono la solitudine come parte integrante della loro scelta.
La risposta immediata
Questa ultima intimidazione non è solo un’altra notizia di cronaca. È uno schiaffo dato alla città nel giorno in cui la città provava a rialzare la testa. Ed è proprio questo tempismo feroce a dire, con brutalità, che la partita contro la criminalità a Lamezia è ancora tutta da giocare – e che, allo stato attuale, sono gli intimidatori a sentire di avere il pallino in mano. Chi amministra ha il dovere, oggi più che mai, di trasformare l’unità proclamata in un impegno operativo, concreto, immediato. Perché ogni intimidazione non è un attacco solo alla vittima diretta: è un messaggio alla collettività.


