L’attivista testimone di guerra e la sua imparzialità

Adriano Sofri a Vibo Valentia per presentare il suo nuovo libro sulla Cecenia

Compartecipare emotivamente di tragedie disumane può alterare la percezione della realtà. È risaputo, questa non è mai di per sé oggettiva, ma lo diviene in seconda istanza se suffragata da una ricostruzione fattuale degli eventi, fondata su fonti verificate.

I casi di giornaliste e giornalisti ospitati da un esercito piuttosto che da un altro, nel contesto di conflitti sanguinosi, lo hanno dimostrato. Vivere gli avvenimenti a strettissimo contatto con una fazione porta inevitabilmente a considerare più salienti le sue ragioni, a scapito dell’avversario. L’esito più estremo è la disumanizzazione, consapevole o meno, di quest’ultimo.

I casi di giornaliste e giornalisti ospitati da un esercito piuttosto che da un altro, nel contesto di conflitti sanguinosi, lo hanno dimostrato. Vivere gli avvenimenti a strettissimo contatto con una fazione porta inevitabilmente a considerare più salienti le sue ragioni, a scapito dell’avversario. L’esito più estremo è la disumanizzazione, consapevole o meno, di quest’ultimo.

Il controverso e istrionico Adriano Sofri, fra i protagonisti indiscussi dei turbolenti anni Sessanta e Settanta in Italia, ha dato alle stampe lo scorso anno ‘C’era la guerra in Cecenia’, presentandolo come il diario della sua permanenza in quella terra, a suo dire rimasto intonso da allora.

La Prima guerra cecena, avviata nell’autunno 1994 con un colpo di mano dal filostatunitense Boris Eltsin, durò in sostanza circa un anno. Serviva un nemico per ricompattare il popolo, quasi nella totalità sprezzante nei confronti del presidente: l’eroe sovietico Dudaev fu così dichiarato “dittatore” a capo dei separatisti. Il ministro della Difesa russo non riuscì però a tenere fede alla promessa di risolvere la questione con la forza in una manciata di ore, tanto che i ceceni ebbero la meglio e la Russia firmò la sconfitta. Il Paese più esteso al mondo era nel frattempo caduto ancora nelle grinfie della gestione occidentale, con le elezioni vinte da Eltsin a colpi di brogli e maneggiamenti.

L’autore del libro si recò in quelle terre verso la fine dei disordini, in qualità di inviato per ‘L’Espresso’ e ‘Mixer’, portando a casa articoli di giornale e documentari televisivi. Conobbe di persona civili e combattenti, batté in lungo e in largo l’intero territorio. Documentò, con la propria esperienza, un vero e proprio culto ceceno della disfatta russa, o per meglio dire eltsiana. Uno Stato grande quanto la Calabria e oggi abitato da una popolazione non più russofoba, incastonato nel Caucaso sorgente della nostra civiltà.

Dopo la vittoria, tre anni di rafforzamento indipendentista nel nuovo Stato e criminalità cecena nella vecchia Russia. Nel 1999, scaricato Eltsin, il neoeletto Vladimir Putin si ritrovò una spinosa gatta da pelare. I servizi segreti russi stavano infatti preparando con i propri alleati un attacco terroristico, simulandone la provenienza cecena, a discapito del Daghestan, attuato  e sventato in tempo; il leader daghestano Basaev era in realtà complice. Così Putin, per dare inoltre una risposta all’esplosione di bombe a Mosca che fomentavano l’odio verso i ceceni, cadde nella trappola e si mosse per una controffensiva, inaugurando la decennale Seconda guerra cecena, stravinta. Per lui gli oppositori erano innanzitutto interni, gli stessi oligarchi corrotti e da tempo in contatto con il terrorismo ceceno. Da Washington ad Ankara, gli interessi esteri sul pregiato petrolio ceceno determinarono la costruzione di un oleodotto alternativo a quello russo.

Storie che si ripetono. L’operatrice culturale Maria Teresa Marzano, ne Il Maggio dei Libri del Centro per il Libro e La Lettura, ha organizzato presso la Libreria Cuori d’inchiostro un incontro con lo scrittore, introdotto sabato 18 maggio dai docenti Silvio Greco e Lionella Morano.

L’attivista sostiene di non aver pubblicato finora il testo per proteggere le persone sopravvissute a quei dolori. Non fu l’unico testimone in Cecenia, altri cronisti ne hanno interpretato gli eventi secondo sensibilità che differiscono dalla sua. Questo è un diario personale e narra avventure soggettive, facendoci avvicinare solo con la lettura a una visione umana e disumana della guerra.

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