La dottoressa Marianna Rodolico torna a ruggire. Per quasi trent’anni ha prestato servizio nel pronto soccorso dello Jazzolino, poi, di fronte alle ostilità dell’ambiente al cui servizio ha sempre messo la sua professionalità, ha chiesto e, guarda caso, subito ottenuto di poter lavorare al pronto soccorso dell’ospedale di Tropea. Qui, sino ad oggi è rimasta in silenzio, sempre osservando e valutando, però, quanto succede nella sanità vibonese. Ha drizzato le antenne nel momento in cui sono entrate in discussione le sorti dello “Jazzolino” e, quindi, la tutela della salute dei pazienti.
Disappunto
Disappunto
Di fronte alla lentezza con cui si sta lavorando per cercare di arrivare ad una soluzione condivisa sul come affrontare i disagi creati dai lavori di messa in sicurezza della vecchia struttura ospedaliera e, soprattutto, di fronte all’emergere di una scelta – quella di spostare tutto in un ospedale da campo – il suo disappunto esplode, si trasforma in rabbia e decisa contrarietà a una soluzione che, a suo avviso, tornerebbe utile solo a certe categorie, ma non ai cittadini. E di certo i suoi toni non sono morbidi, anche perché Marianna Rodolico, di fronte alle storture del sistema sanità e al servilismo interessato delle parti in campo, non ha mai piegato la schiena, non ha mai usato il “signorsì”.
Politica distante
Oggi, nel tentativo si arginare lo sfascio in corso, l’obiettivo suo è quello di svegliare soprattutto la gente, i sindaci, la politica. Quella politica che lei ha sempre amato senza, magari, essere adeguatamente ricambiata. “Ancora una volta – esordisce puntando il dito contro la ventilata scelta di smobilitare i servizi ospedalieri – la dimostrazione di quanto sia lontana la politica dal bene comune e di quanto, poco o nulla, a lei, interessi la salute del cittadino. Piegarsi alla volontà di una opinione nata, a mio avviso, quasi per gioco, non è altro che la conferma dell’inettitudine di un modo di ragionare, non per logica, ma per comodità”. Stando così le cose. “poco importa alla sottoscritta di essere criticata, accantonata, considerata quasi folle – prosegue – ma vorrei urlare ai cittadini, ai malati, ai sindaci, che anche loro piegano il capo, svegliandoli dal sonno perenne in cui vivono, vorrei urlare affinché ognuno capisse, leggendo ciò che scrivo, che il disastro di questa realtà, specchio conforme di un disastro mondiale, è imminente. Disastro sanitario della nostra regione, disastro toccato con mano nella nostra provincia allorquando l’ospedale di Vibo Valentia sarà smantellato per essere “messo a norma”.
Tante domande
I dubbi la tormentano e gli interrogativi che la dottoressa Marianna pone a se stessa non sono pochi. “È veramente il bene del malato la domanda principale che interessa alla politica e agli amministratori – sibila – o è una rivendicazione campanilistica, per non perdere la supremazia di un territorio “capitale”? Ma il cittadino sa che l’ospedale da campo accoglierà il malato in una tenda o in un container attrezzato di sala operatoria e degenza, montati in un luogo dove si solito stazionano il circo o le giostre? Il cittadino malato – continua – sa che deve prima passare dal pronto soccorso e poi finire nel container? Chi di noi, in tali condizioni sceglierebbe di farsi curare o meglio operare in un container?”. Le risposte alle sue domande tarderanno ad arrivare, ma il sempre battagliero camice bianco della costa non si arrende. Non lo farà mai. Perchè ama la sua terra, ama la sua gente.
Il ruolo dei sindaci
Bussa, perciò, al cuore e alla testa degli amministratori comunali. “Tutto ciò avrebbe un senso – sottolinea – se ci fosse una guerra o un evento catastrofico. Emerge, quindi, la mancanza di informazione, infatti non dovrebbe esserci solo un accordo tra politici e sanitari, ma una scelta condivisa con chi ha necessità di rivolgersi ad un ospedale. E chi meglio del sindaco di ogni comune della provincia, può informare la sua popolazione! Quale sarà la scelta del malato? Cercare un’altra struttura, la cosa più semplice, pubblica o privata che sia, se ce la fa, altrimenti affidarsi alla sorte. Ma tutto questo non viene spiegato al popolo che continua ignaro, a subire gli insulti di chi si accorda a monte”. Di fronte a queste considerazioni, le scatta un altro dubbio. “Ma come mai – si chiede – con sei strutture ospedaliere, di cui due completamente funzionanti, Serra e Tropea, quest’ultima con sala operatoria ancora attiva, si pensa a dare atto ad un ospedale da campo?”. Di sicuro, tutte le giustificazioni oggi circolanti, per Marianna Rodolico, non meritano spazio. “La motivazione che viene data, peraltro poco chiara – spiega – non soddisfa la domanda, poiché il malato per curarsi percorre tutte le strade e l’emergenza potrebbe avere un volto marino o un volto montano, basta saper organizzare, perché allo stato un evento grave può capitare in qualsiasi area del territorio e non è certo la vicinanza all’ospedale di Vibo Valentia a fare la differenza. Anche perché, come si è fatto finora – rimarca – per le gravi emergenze è stato sempre allertato l’elisoccorso e trasferito il paziente nei centri hub del territorio”.
A chi giova l’ospedale da campo?
E siamo alla domanda delle domande. Alla domanda che in tanti si pongono, ma che nessuno ha il coraggio di esternare, a parte la dottoressa Rodolico: “Questo ospedale da campo – si chiede ancora, provando anche a darsi una risposta – a chi serve realmente? Non certo al paziente! Molto probabilmente serve agli operatori, che evitano di spostarsi, alla sanità privata che avrà più clienti, alla politica campanilistica e accondiscendente, agli amministratori ignavi, in breve a tutti questi elementi, fuorché al malato”. Da questa convinzione, scaturisce un accorato e conclusivo appello. “Allora Sindaci, prendete in mano la situazione sanitaria del vostro territorio e informate i vostri cittadini, affinché ognuno sappia cosa si decide sulla gestione della salute in questo nostro paese, e, non cullatevi sulla temporaneità dei lavori, perché l’impegno è per oltre due anni totali, all’interno dei quali ogni 3/ 4 mesi ruoteranno gli spostamenti dei reparti. Se pensate che la soluzione proposta non sia consona con la cura dei malati, come lo penso io, ribellatevi, ribelliamoci tutti e facciamo sentire la nostra voce di liberi uomini e non di schiavi assoggettati a chi trama sulla pelle di chi mendica salute”.