Amava tanto recarsi al cimitero: lapidi austere, scatti sbiaditi, fiori profumati. Il piccolo Pierpaolo era solito andarci per trovare i cari defunti, ma una volta entratoci si perdeva in mille fantasticherie guardandosi intorno. Chissà come saranno morte queste persone, chissà come sarà stata la loro vita, chissà quando si saranno messe in posa… Chissà.
La risposta non è mai arrivata, tuttavia ciò non ha impedito a Pierpaolo Pellegrino di dare alle stampe una consapevole miscela letteraria, che condensa fra le proprie pagine i generi del romanzo, della silloge poetica e del saggio.
La risposta non è mai arrivata, tuttavia ciò non ha impedito a Pierpaolo Pellegrino di dare alle stampe una consapevole miscela letteraria, che condensa fra le proprie pagine i generi del romanzo, della silloge poetica e del saggio.
I poematti, uscito nel 2023, è in realtà frutto di un lavoro più che ventennale, avviatosi grazie a studi umanistici condotti in maniera enciclopedica. Un centinaio di scritti distinti, slegati l’uno dall’altro, solo in seguito armonizzati in un testo.
Quei quesiti sorti al camposanto non potevano che trovare risposta in un’abitudine forsennata della lettura; leggere per indagare l’essere umano.
Il protagonista Giuseppe Leone, scrittore che a metà Novecento vive un profondo travaglio esistenziale, entra in contatto con “anime maldestre” in un villaggio calabrese dell’entroterra.
Spiriti che abitano in un castello alla sua sommità e che si esprimono unicamente in versi orali, senza saperli scrivere.
È l’attrazione del nostro autore per quelli che chiama “poeti inconsapevoli”, donne e uomini che si struggono e gemono, eppure nulla conoscono di poesia e finiscono per frequentare contesti non poetici. I poeti consci di verseggiare, invece, sono più simili a pazzi e veggenti.
Non a caso il pittore Paolo Veronese, convocato nel 1573 dall’Inquisizione, per giustificare l’inserimento di buffoni e ubriaconi in un’Ultima cena – intitolata Convito in casa di Levi – affermò di aver voluto agire come i poeti e i matti. La medesima atmosfera onirica si è respirata, dal vivo, venerdì 3 maggio nel Palazzo Marzano.
L’Associazione di Promozione Sociale L’isola che non c’è, promotrice della rassegna di cultura letteraria e demo-etno-antropologica Un libro al mese: “Visti da Vicino”, sta proseguendo le attività del primo progetto italiano di cultura diffusa extraterritoriale, giunto alla decima edizione.
L’indomita presidente Concetta Silvia Patrizia Marzano, figura intellettuale di spicco per la vibonesità, ha introdotto l’evento per il pubblico presente e per l’utenza collegata in diretta. La sindaca Maria Limardo ha calcato la mano sulla fortuna di poter accedere a un palazzo nobiliare che si apre alla comunità, mentre solitamente gli scrigni preziosi rimangono chiusi.
Ampio spazio è stato così consegnato alla docente di Lettere Maria Concetta Preta, che insegna presso il Liceo Classico Michele Morelli. L’incipit del suo intervento ha visto la lettura del monologo recensorio Un libro “che serve”, denso di dotte reminiscenze rinvenute nell’opera: le anime sono state interpretate quale moltiplicazione dell’autore, simile nella metrica naif ai rapsodi che poeteggiano all’alba delle civiltà.
Non è risaputo, ma i pastori aspromontani di area grecanica sono divenuti oggetto di studio, persino nel campo della questione omerica, per la pratica di comporre versi istintivamente. La Calabria è terra di poesia alta, quando questa è in grado di richiamarsi alla tradizione. Il protagonista, convinto di poter stendere un capolavoro, appunterà tutto con dedizione. Dialogherà con i trapassati, ma privo della guida dantesca della Ragione. Accantoniamola, lasciamoci trasportare dalla bellezza evitando pregiudizi.
Dall’oltretomba delle anime, mai lugubri alla gotica bensì meditabonde in stile mediterraneo, Giuseppe Leone non è sicuro di salvarsi. Il lieto fine del Medioevo dantesco crolla di fronte alle incertezze del mondo postmoderno.