La protesta non è più un gesto simbolico: è diventata un presidio stabile, un avamposto civile montato davanti alla sede dell’Asp di Vibo per ricordare ai commissari straordinari ciò che continuano a ignorare. Familiari dei pazienti e dipendenti del Medical Center Don Mottola di Drapia hanno trasformato la loro indignazione in un sit-in permanente. Una voce collettiva che pretende risposte e che mette nero su bianco una verità che non si può più nascondere: nel Vibonese la riabilitazione territoriale non esiste perché qualcuno non vuole che esista.
Delibera che nega diritti
Delibera che nega diritti
La miccia è stata la pubblicazione della delibera sulla rete territoriale, documento che – nelle intenzioni – avrebbe dovuto definire fabbisogni, modelli assistenziali e servizi necessari alla provincia. E invece, come denuncia uno dei promotori della mobilitazione, “non descrive nulla che assomigli minimamente al fabbisogno reale”. Il testo, a quanto pare, era pronto da mesi ma trattenuto in un cassetto “in attesa dei tempi di spesa”, lasciando scorrere il copione ormai noto: senza numeri ufficiali, niente fondi; senza fondi, niente servizi; senza servizi, la responsabilità svanisce.
La riabilitazione estensiva
Il punto più grave è un altro: la delibera certifica che nel Vibonese non è prevista riabilitazione estensiva, né riabilitazione in centro diurno. Tradotto: nessun percorso riabilitativo per chi esce da una protesi d’anca o di ginocchio, nessuna continuità assistenziale dopo interventi cardiochirurgici, nessun supporto per i pazienti oncologici che devono recuperare funzionalità, nessun servizio dedicato ai bambini autistici, che restano – parole degli stessi promotori “territorio di nessuno”.
Circa mille pazienti abbandonati
Eppure i dati reali urlano il contrario: 993 pazienti all’anno necessiterebbero di percorsi riabilitativi sul territorio vibonese. La cifra non è un’opinione: deriva dall’analisi delle dimissioni dagli ospedali per acuti e dall’appropriatezza dei modelli gestionali. Numeri chiari, che però spariscono dal documento ufficiale come se non esistessero. Quando non si vuole affrontare un problema, la soluzione più comoda è negarlo. Ed è esattamente ciò che accade.
Scelte politiche che offendono
I promotori della protesta parlano di un “vulnus”, ma sarebbe più corretto definirlo per ciò che è: una scelta politica e amministrativa che ferisce un’intera comunità. Perché quando la riabilitazione è negata, a pagare non sono le istituzioni: sono le persone già colpite da malattie, traumi, interventi complessi; sono le famiglie che devono affrontare costi enormi per curarsi altrove; sono i lavoratori della sanità che vedono smontare pezzo dopo pezzo la possibilità stessa di garantire assistenza.
I commissari latitanti
Durante il sit-in, una delegazione è stata ricevuta dal commissario Sestito, direttore amministrativo dell’Asp. Gli altri vertici? “Latitanti”, denunciano i manifestanti. Sestito si sarebbe impegnato a portare l’istanza in commissione per una “possibile rivalutazione”. Una parola che – in un territorio dove le attese diventano voragini – suona come l’ennesima promessa che rinvia, dilata, dissolve. Perché mentre si rivaluta, si perde tempo. E mentre si perde tempo, si pubblicano atti privi di risorse, privi di visione, privi di responsabilità.
Il territorio non vuole miracoli
Il Vibonese non chiede miracoli: chiede ciò che nel resto d’Italia è considerato normale. Chiede che un bambino autistico non debba essere caricato in auto per 100 chilometri pur di avere un’ora di terapia. Chiede che un paziente operato possa recuperare senza essere abbandonato. Chiede che i diritti non vengano sospesi da un giorno all’altro per “mancanza di delibere”. Questa non è una battaglia corporativa né una vertenza locale: è la richiesta di restituire dignità a un territorio trattato per troppo tempo come periferia sanitaria di nessuno. Perché la riabilitazione non è un lusso. È il punto esatto in cui una sanità pubblica decide se vuole salvare le persone o abbandonarle.


