Una riorganizzazione nata con ambizioni modernizzatrici, ma che nei fatti – soprattutto nei territori più fragili della Calabria – sta mostrando crepe profonde. È il quadro sconfortante che emerge dalla riflessione del coordinatore facente funzioni del 118 di Vibo Valentia, Giuseppe Ventrice, che analizza senza sconti quanto accaduto dopo lo “switch” regionale del 3 marzo 2024, che ha cancellato il precedente Suem 118 per introdurre un nuovo assetto tecnologico e operativo. Ventrice riconosce che alcune innovazioni – geolocalizzazione satellitare, gestione digitale dei dati, condivisione più rapida con i Pronto soccorso e le unità operative – hanno indiscutibile utilità. Positive anche l’attuazione delle direttive europee sul NUE 112 e la creazione delle due Sale operative 118, Nord e Sud, strutturate per garantire supporto reciproco in caso di criticità. Ma, al di là della teoria, la pratica racconta un’altra storia.
Una riorganizzazione nata con ambizioni modernizzatrici, ma che nei fatti – soprattutto nei territori più fragili della Calabria – sta mostrando crepe profonde. È il quadro sconfortante che emerge dalla riflessione del coordinatore facente funzioni del 118 di Vibo Valentia, Giuseppe Ventrice, che analizza senza sconti quanto accaduto dopo lo “switch” regionale del 3 marzo 2024, che ha cancellato il precedente Suem 118 per introdurre un nuovo assetto tecnologico e operativo. Ventrice riconosce che alcune innovazioni – geolocalizzazione satellitare, gestione digitale dei dati, condivisione più rapida con i Pronto soccorso e le unità operative – hanno indiscutibile utilità. Positive anche l’attuazione delle direttive europee sul NUE 112 e la creazione delle due Sale operative 118, Nord e Sud, strutturate per garantire supporto reciproco in caso di criticità. Ma, al di là della teoria, la pratica racconta un’altra storia.
La Sala 116-117, un fallimento
Il nodo più critico per Ventrice è rappresentato dalla Sala operativa 116-117 di Cosenza, deputata ai trasferimenti secondari urgenti e programmati e all’emergenza sangue. Una struttura che, secondo il coordinatore, sta drenando risorse dal soccorso territoriale e generando un’organizzazione caotica: attivazioni multiple e ingiustificate di ambulanze ed elicotteri, missioni affidate senza criteri onnicomprensivi dei codici di priorità, gestione definita “spesso disordinata”. Il risultato è un numero quadruplicato di interventi rispetto al passato, ma senza alcun aumento del personale.
Tempi più lunghi, sprechi e caos
Con un carico di lavoro esploso e risorse rimaste le stesse, i tempi d’intervento – evidenzia Ventrice – si dilatano inevitabilmente oltre gli standard previsti. In molti casi si superano anche i 18 minuti, con ricadute particolarmente gravi sui codici rossi, che richiedono invece tempi rapidissimi. “Se l’obiettivo era smantellare il servizio pubblico a favore del privato, allora il programma sta funzionando”, afferma amaramente il coordinatore, osservando come la macchina dell’emergenza-urgenza si stia “inceppando” proprio nei suoi punti vitali.
Una struttura allo stremo
La nuova organizzazione, spiega ancora Ventrice, ha generato un impatto devastante sugli operatori: turni prolungati, straordinari massicci, operatori del turno entrante bloccati perché i mezzi sono ancora in missione, operatori del turno uscente costretti a restare in servizio ben oltre l’orario previsto. Una situazione che sta producendo malumori, tensioni e contenziosi. E tutto ciò avviene mentre l’Asp fatica perfino a liquidare le indennità maturate dal personale.
Ambulanze senza medici e fuga dal servizio
Il quadro che Ventrice descrive è ancora più allarmante sul fronte clinico: si registra una crescente fuga dal servizio, con un boom di richieste di esonero e abbandono da parte dei medici. Una dinamica che ha condotto alla demedicalizzazione di un numero crescente di ambulanze, lasciando gli infermieri – definiti “ultimo baluardo” – da soli nella gestione della maggior parte dei turni. Il rischio ora, evidenzia Ventrice, è che anche gli infermieri decidano di abbandonare il campo, determinando un collasso definitivo del servizio.
Aggravato il divario territoriale
Il coordinatore non nega che l’innovazione tecnologica fosse necessaria. Ma sostiene che ciò non basta a far funzionare un sistema complesso come l’emergenza-urgenza, soprattutto in territori fragili come quello vibonese, segnati da: viabilità difficile, orografia complessa, rete ospedaliera depotenziata negli anni, carenze di personale, servizi decentralizzati o cancellati. In questo contesto, la riorganizzazione regionale – nelle parole di Ventrice – ha prodotto un declino sistematico, anziché miglioramento.
Uno sguardo alla storia
Ventrice ricorda che il Suem 118 nacque nel 1997 e che, nonostante condizioni proibitive, gli operatori riuscirono a fornire per anni un servizio efficiente, grazie a: motivazione forte, formazione continua secondo la logica della “Golden Hour”, conoscenza capillare del territorio, gestione delle emergenze basata su competenze e non su algoritmi gestionali. Un modello che oggi, a suo giudizio, rischia di andare completamente perduto.
La speranza
Eppure, conclude Ventrice, non tutto è irreversibile. Una via d’uscita esiste, a patto di: ripristinare una ripartizione equa dei fondi regionali, restituire ai territori penalizzati (come il vibonese) i servizi sottratti o accentrati altrove, riequilibrare i poteri decisionali, riattivare le competenze locali, reintegrare risorse umane adeguate. Solo così il servizio di emergenza potrà tornare ad essere un presidio reale di tutela della salute pubblica, come dovrebbe essere per definizione.
Conclusione
Quello di Ventrice rappresenta il tentativo di mettere nero su bianco una verità scomoda: la riforma, così com’è stata implementata, nei territori più deboli non ha funzionato. E oggi il 118 vibonese – un tempo fiore all’occhiello – si ritrova a combattere ogni giorno con un sistema che, per come è stato disegnato, rischia di diventare insostenibile. La speranza rimane. Ma per trasformarla in realtà servirà una scelta politica chiara: decidere se il diritto alla salute debba continuare a valere anche nelle aree più fragili della Calabria.


