San Ferdinando, la tendopoli infinita: una vergogna di Stato che nessuno ha mai voluto chiudere

Non è più un’emergenza ma una condizione strutturale, tollerata da governi di ogni colore e da amministrazioni locali che si sono succedute senza risolvere nulla

La chiamano ancora tendopoli, ma è una bugia comoda. A San Ferdinando, nel cuore della Piana di Gioia Tauro, esiste da anni una baraccopoli a cielo aperto che rappresenta una delle più gravi sconfitte delle politiche pubbliche sull’immigrazione e sul lavoro agricolo. Una vergogna che si tramanda di governo in governo, di ministro in ministro, di amministrazione in amministrazione, senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio, o la volontà, di chiuderla davvero. Lo racconta con precisione e misura Domenico Latino su Gazzetta del Sud, descrivendo un luogo dove il freddo non è solo climatico ma istituzionale: strade di fango, rifiuti ovunque, tende trasformate in baracche, cavi elettrici scoperti, servizi igienici già inutilizzabili. Ma dietro la cronaca c’è una responsabilità politica che non può più essere taciuta.

Una soluzione “temporanea” 

Una soluzione “temporanea” 

La tendopoli nasceva per meno di 200 persone. Ne ha ospitate fino a 900. Oggi le presenze oscillano, ma la struttura è rimasta quella: inadeguata, pericolosa, disumana. Le tende ministeriali, pensate come risposta d’emergenza, sono diventate il simbolo di un fallimento strutturale. Nessun piano serio di superamento, nessuna alternativa stabile, solo rattoppi e interventi spot. Nel frattempo, lo Stato ha accettato che centinaia di braccianti vivessero senza sicurezza, senza dignità, senza prospettive. E lo ha fatto consapevolmente.

Invisibili ma utili nei campi

I lavoratori che vivono nella baraccopoli mandano avanti l’agricoltura della Piana. Raccolgono agrumi, seguono le stagioni, garantiscono manodopera a basso costo. Quando lavorano sono invisibili. Quando si fermano diventano un “problema di ordine pubblico”, un fastidio da confinare lontano dagli occhi. Le istituzioni locali “fanno quello che possono”, come raccontano i volontari citati nell’articolo di Latino. Ma ciò che possono è sempre troppo poco. Perché il punto non è l’assistenza: è la responsabilità politica di aver tollerato per anni un sistema che produce sfruttamento e marginalità.

Il degrado organizzato

Dove arretra lo Stato, la vita si arrangia. Nella tendopoli nascono bazar, officine improvvisate, luoghi di culto. È una sopravvivenza forzata, non integrazione. Caritas, Emergency, volontari suppliscono alle mancanze pubbliche, distribuendo pasti, ripristinando quadri elettrici, spegnendo incendi prima che diventino tragedie. Ma non dovrebbe spettare a loro evitare i morti. In quel campo una persona è già morta in un incendio. Le vie di fuga erano scomparse. I mezzi di soccorso non riuscivano ad entrare. Anche questo è noto. Anche questo è stato archiviato. San Ferdinando non è un’eccezione: è un modello sbagliato diventato prassi.

La tolleranza è necessaria

Un luogo che racconta meglio di qualsiasi discorso cosa l’Italia è disposta a tollerare pur di non affrontare il nodo dello sfruttamento agricolo e dell’accoglienza. Non mancano le buone pratiche, ricorda Gazzetta del Sud: altrove si è fatto meglio. Qui no. Qui si è scelto di rimandare, anno dopo anno. E ogni rinvio ha un nome e un cognome politico, anche se nessuno vuole pronunciarlo.

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