Sanità vibonese al collasso, si dimette l’urologo Ventrice. Un altro medico lascia l’Asp. Stanco di carichi di lavoro e umiliazioni

All’ospedale di Tropea solo due medici per tutto il servizio di urologia provinciale. Sala operatoria chiusa per mancanza di anestesisti, reparto vuoto e pazienti in fuga: così muore la sanità pubblica

Un’altra resa. Un altro nome che si aggiunge alla lunga lista di professionisti che abbandonano la sanità pubblica vibonese. Questa volta a gettare la spugna è il dottor Alberto Ventrice, medico urologo in servizio all’ospedale di Tropea, dipendente dell’Asp di Vibo Valentia. La sua lettera di dimissioni è arrivata qualche giorno fa sul tavolo dei commissari straordinari che guidano l’Azienda sanitaria provinciale. Nessuna dichiarazione ufficiale, nessun commento pubblico. Ma dietro il silenzio – secondo indiscrezioni raccolte – ci sarebbero stanchezza, umiliazioni e carichi di lavoro insostenibili.

Solo due medici per un intero territorio

Solo due medici per un intero territorio

L’urologia di Tropea, oggi, è tenuta in piedi da appena due medici: lo stesso Ventrice e il collega Luca Cosentino. Due soli professionisti per coprire un servizio che serve l’intera provincia di Vibo Valentia. Turni alternati mattina e pomeriggio, attività solo ambulatoriale, nessuna possibilità di intervento chirurgico, nessun ricovero. La sala operatoria, infatti, è chiusa: non per lavori, ma per assenza di anestesisti. In sostanza l’ospedale c’è, il reparto esiste, ma non si opera.

Una fuga che diventa denuncia

Il gesto di Ventrice è insieme personale e simbolico. Personale, perché racconta la fatica di chi da anni porta avanti il proprio lavoro senza mezzi e senza supporto. Simbolico, perché segna un ulteriore crollo nel sistema sanitario vibonese, già piegato da carenze croniche di personale e da una gestione commissariale sempre più percepita come immobile e distante.

Non è il primo caso

Pochi mesi fa, un altro medico – il ginecologo Vincenzo Mangialavori, in servizio al reparto di Ginecologia dello Jazzolino di Vibo Valentia – aveva presentato le dimissioni per mancanza di strumenti e condizioni di lavoro dignitose. Solo dopo il suo gesto eclatante, l’Asp si era affrettata a fornire le attrezzature richieste. Un copione che si ripete: prima il silenzio, poi l’emergenza, infine la toppa.

Un sistema che perde pezzi

Ogni dimissione è un tassello che cade da un edificio già pericolante. Pochi medici, servizi ridotti all’osso, sale operatorie chiuse, reparti senza personale. Una situazione che non è più emergenza, ma crisi strutturale.
E mentre i professionisti lasciano, anche i cittadini si arrendono: fuggono verso gli ospedali di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria o direttamente al Nord. Chi resta, affronta liste d’attesa interminabili, esami rinviati, visite a pagamento. Così, sulle macerie della sanità pubblica, fioriscono i centri privati, spesso convenzionati, che intercettano la disperazione di chi non può aspettare. Un’economia parallela della salute che cresce mentre la sanità pubblica affonda.

Una sconfitta di sistema

Le dimissioni del dottor Ventrice non sono solo una notizia di cronaca: sono la fotografia di un fallimento istituzionale. Fallimento della politica, incapace di difendere un presidio sanitario essenziale. Fallimento dell’amministrazione commissariale, che non riesce a garantire neanche i servizi di base. E fallimento dello Stato, che a Vibo Valentia appare come un’ombra amministrativa, priva di presenza e di risposte. La sanità pubblica, in questa provincia, è arrivata a un punto di non ritorno: chi può scappa, chi resta si ammala due volte – nel corpo e nella fiducia. Perché quando un medico lascia non è solo un posto che si svuota: è un diritto che si spegne.

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