’Ndrangheta, la morte di Tita Buccafusca raccontata a Rai3 da Marisa Manzini

Il magistrato, che ha firmato numerose inchieste contro i Mancuso di Limbadi, ha raccolto le prime dichiarazioni della moglie del boss Pantaleone Mancuso quando aveva manifestato la volontà di pentirsi

Il racconto di trame oscure, l’abisso della violenza criminale, storie e vittime di ’ndrangheta, di chi ha lottato anche per uscirne ma senza  mai riuscirci. Il nuovo programma di Rai3, andato in onda ieri in seconda serata, condotto da Emilia Brandi e che ha avuto ospite in studio il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, ha acceso i riflettori anche sulla tragica fine di Tita Buccafusca, moglie del boss Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni). La donna è ritenuta una vittima di mafia.  Tita è morta a 37 anni per avere ingerito una bottiglia di acido muriatico. Quel giorno a casa era da sola, non c’era neanche il suo bambino a cui lei era morbosamente legata e non riusciva mai a distaccarsi.

 A tratteggiare la storia di Tita Buccafusca in una lunga intervista è stato il magistrato Maria Manzini, per anni alla Dda di Catanzaro in qualità di sostituto procuratore con all’attivo numerose inchieste contro le cosche della ’ndrangheta del Vibonese. E’ stata proprio lei a raccogliere le prime dichiarazioni della moglie del boss la notte del 14 marzo 2011 nella sede del Comando provinciale dei carabinieri di Catanzaro. La donna, impaurita, aveva iniziato a raccontare le prime cose, soprattutto cominciava a spiegare perché aveva deciso di voltare le spalle ai Mancuso, al boss, a suo marito portando con se il bambino di 15 mesi.

 A tratteggiare la storia di Tita Buccafusca in una lunga intervista è stato il magistrato Maria Manzini, per anni alla Dda di Catanzaro in qualità di sostituto procuratore con all’attivo numerose inchieste contro le cosche della ’ndrangheta del Vibonese. E’ stata proprio lei a raccogliere le prime dichiarazioni della moglie del boss la notte del 14 marzo 2011 nella sede del Comando provinciale dei carabinieri di Catanzaro. La donna, impaurita, aveva iniziato a raccontare le prime cose, soprattutto cominciava a spiegare perché aveva deciso di voltare le spalle ai Mancuso, al boss, a suo marito portando con se il bambino di 15 mesi.

<Ma al momento di firmare – ha ricordato Marisa Manzini – Tita ha detto che voleva parlare al telefono con suo marito. In quel momento è calato il silenzio tra noi; ci eravamo resi conto che l’avevamo persa. E così è stato. Dopo quella telefonata disse che voleva tornare a casa. Mi salutò, mi disse che ci saremmo viste; non è stato così. Un mese dopo Tita è morta agli ospedali Riuniti di Reggio Calabria dove era stata portata per avere ingerito una bottiglia di acido muriatico>.

Una morte terribile e nello stesso tempo un racconto sconvolgente quello di Marisa Manzini che aveva visto per anni Tita Buccafusca seguire il processo del boss (suo marito) davanti ai giudici del Tribunale di Vibo. <Sembrava una regina – ha ricordato ancora Marisa Manzini, all’epoca pm in quel processo di ‘ndrangheta –. Una donna ossequiata da tutti. Invece, quella notte quando arrivò a Catanzaro, dopo aver passato dalla stazione dei carabinieri di Nicotera Marina, Tita era un’altra persona; non più la regina ma una donna trasformata, fragile, impaurita, una donna che soffriva>.

Nel corso della trasmissione Marisa Manzini ha anche ricordato come Tita Buccafusca era arrivata a fuggire di casa insieme al figlioletto alle 11,30 di quel 14 marzo 2011. A sconvolgerla era stata la guerra di mafia che si era scatenata in quel periodo, con pesanti a cominciare da Vincenzo Barbieri, uno dei più potenti trafficanti di droga, crivellato a colpi di pistola davanti a una tabaccheria a San Calogero, per poi seguire con altri efferati delitti nella zona di Nicotera. Una scia di sangue che il boss, secondo quanto raccontato dai pentiti, avrebbe imposto per ristabilire le regole nel traffico internazionale di droga.

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