Approcciarsi empaticamente ai famigerati anni di piombo, infelice espressione storiografica tesa a significare la predominanza delle armi, non è una chimera.
In prima persona, all’epoca, fu coinvolto dai fatti ripercorsi nel libro. La cronologia non ne viene rispettata, a interessargli era ricostruire l’aspetto più umano in quelle tragedie di Stato. In sacrificio le istituzioni italiane immolarono in gran parte i giovani, quasi tutti provenienti dal Sud costretti a dare la vita per la Patria. Le loro voci erano finora spente, afone; ricostruite nella trama, e purtuttavia dolcemente romanzate per rispetto delle famiglie che ne portano vivido il ricordo. L’allora Polizia, corpo militare e non civile, non prevedeva la regionalizzazione, e a fiotti ci si riversava in essa nei contesti che maggiormente faticavano a sussistere.
In prima persona, all’epoca, fu coinvolto dai fatti ripercorsi nel libro. La cronologia non ne viene rispettata, a interessargli era ricostruire l’aspetto più umano in quelle tragedie di Stato. In sacrificio le istituzioni italiane immolarono in gran parte i giovani, quasi tutti provenienti dal Sud costretti a dare la vita per la Patria. Le loro voci erano finora spente, afone; ricostruite nella trama, e purtuttavia dolcemente romanzate per rispetto delle famiglie che ne portano vivido il ricordo. L’allora Polizia, corpo militare e non civile, non prevedeva la regionalizzazione, e a fiotti ci si riversava in essa nei contesti che maggiormente faticavano a sussistere.
Quantunque sia nato a Trento, lo scrittore Francesco Marchi veniva additato quale “terrone” – e conseguentemente ignorante, barbaro, fascista… – : gli bastava la divisa per essere amalgamato ai suoi colleghi. Era all’ordine del giorno ricevere notizia di uomini dello Stato morti ammazzati, per una media di tremila omicidi complessivi all’anno contro gli attuali trecento. Rischiare di continuo la stessa esistenza per, in fin dei conti, un racimolo di stipendio, una paga a malapena bastante per mettere insieme il pranzo con la cena.
L’autore del romanzo storico ‘E il Rosso intonò una canzone’ prestava, da giovanissimo e per scelta, servizio alla Divisione investigazioni generali e operazioni speciali di Milano, trasferendosi in seguito a Bologna dove continua ad abitare.
Il Marco inventato del testo è personaggio di fantasia, ma in lui si nasconde l’alter ego del narratore: camperà con i fiumi di sangue perennemente davanti agli occhi, con la paura costante di perdere da un momento all’altro le persone a sé vicine, con la coscienza che mettere piede fuori casa potrebbe tradursi nel trapasso definitivo. Il nostro Paese non costituiva eccezione, attorno a noi era pieno di dittature militari e la nostra appartenenza alla Nato ci obbligava a comparteciparne. Anzi, sei mesi prima dell’affaire Moro la Germania ci precedette anticipando al millesimo la strategia atta a sequestrare lo statista coraggioso.
Al centro del plot la Strage di Bologna, anch’essa denunciata alla maniera di una “strage di Stato” sulla scia della Strage di Piazza Fontana. Eppure le forze armate sul campo combattevano per difenderlo, questo Stato; la formula tuttora in uso nacque a seguito di una controinchiesta, firmata da Lotta continua, orientata a dimostrare l’innocenza degli anarchici e la colpevolezza dei neofascisti.
È stata Concetta Silvia Patrizia Marzano a coordinare la serata di giovedì 10 ottobre per l’incontro presso Palazzo Marzano, evento ricaduto nella kermesse ‘Oktoberfest… Ival’, acronimo di “Identità, Volumi-Visioni, Artisti e Luoghi”, organizzata dall’associazione culturale “L’isola che non c’è” presieduta da Concetta Silvia Patrizia Marzano.