Tridico batte sul “reddito di dignità”. La ministra Calderone avverte: no a sovrapposizioni assistenzialiste

In Calabria, la proposta dell’ex presidente dell’Inps riapre il dibattito: tra chi la sostiene come misura di dignità sociale e il governo che insiste sul lavoro come unica via contro la povertà

Il dibattito sul reddito di cittadinanza, abolito a livello nazionale e sostituito dall’Assegno di Inclusione, non si è mai davvero spento. Ora, in vista delle prossime elezioni regionali, torna con forza sul tavolo politico, soprattutto in tre territori: Toscana, Campania e Calabria.

La scommessa di Tridico

La scommessa di Tridico

Ed è proprio in Calabria che l’ipotesi assume una valenza particolare. A rilanciarla è Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps e considerato tra i “padri” del reddito di cittadinanza. Tridico parla apertamente di un “Reddito di dignità” regionale: una misura che, nelle intenzioni, garantirebbe ai cittadini più fragili fino a 500 euro mensili, finanziati con fondi locali ed europei. Un’idea che affonda le radici nel suo impegno storico sul tema e che, per la Calabria, diventerebbe un tratto distintivo di programma elettorale.

Asse Pd-M5S

In parallelo, altre regioni guardano alla stessa strada: in Toscana il presidente uscente Eugenio Giani (Pd) ipotizza un sostegno integrativo, mentre in Campania Roberto Fico (M5S) vuole trasformare il reddito regionale in una bandiera politica. Si tratta di un asse strategico tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, volto a ricucire il consenso tra i ceti popolari dopo l’abolizione nazionale della misura.

I distinguo della ministra Calderone

Sulle pagine de Il Messaggero, la ministra del Lavoro Marina Calderone ha chiarito che le Regioni hanno la facoltà di introdurre strumenti di sostegno propri, purché “utilizzino fondi regionali o europei, e com’è ovvio in coordinamento con le politiche nazionali”. In altre parole, la possibilità esiste, ma a precise condizioni: progetti concreti, sostenibili e non in contrasto con la normativa statale.

Tanti i pericoli in agguato

Il via libera, dunque, non è scontato. La ministra ha infatti sottolineato i rischi di un approccio troppo generalista: “Un reddito “regionale” rischierebbe di creare sovrapposizioni, platee diverse e disomogeneità di trattamento”. Per Calderone, il pericolo è quello di una giungla normativa, con sistemi frammentati e cittadini penalizzati in base alla residenza. La linea del governo resta netta: “Il rimedio alla povertà è il lavoro. Ogni misura deve essere collegata a percorsi di attivazione e formazione”. Interventi mirati sì, ma nessun ritorno a un reddito assistenzialista universale.

Una contraddizione politica

Resta però un elemento politico da non trascurare: in Sicilia la ministra non ha ostacolato il cosiddetto “Reddito di povertà” voluto da un governatore di centrodestra. Una differenza di atteggiamento che alimenta i sospetti di un giudizio condizionato più dalle convenienze di schieramento che da una valutazione oggettiva della misura.

Calabria al centro del confronto

Il nodo di fondo rimane: la Calabria, una delle regioni più colpite da disoccupazione e povertà, potrebbe diventare laboratorio di un nuovo modello di sostegno. La proposta di Tridico punta a dare una risposta immediata alle famiglie in difficoltà, ma si scontra con il monito di Calderone, decisa a tenere la barra sull’inclusione lavorativa.

Una questione politica

Il confronto, destinato ad accendersi in campagna elettorale, non è solo economico ma profondamente politico: reddito di dignità o reddito di povertà, sostegno universale o interventi mirati. La Calabria, ancora una volta, si ritrova a essere terreno di sperimentazione e di scontro tra due visioni opposte di welfare e giustizia sociale.

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