Storie insolite dal passato di Vibo Valentia: lo scrittore cosentino che ci aiuta a scovarle

La nostra intervista a Francesco Paolo Dodaro, giovane artefice di un'opera sulla Calabria e i suoi personaggi meno noti

In un giubilo festante, venerdì 27 settembre, la Libreria Cuori d’inchiostro ha ospitato lo studioso e ricercatore Francesco Paolo Dodaro, autore del nuovo libro ‘Calabria insolita. Storie inedite o dimenticate’. Il testo si sofferma, in mezzo a pagine dense di informazioni, anche sul nostro territorio provinciale. Vediamo in che termini, in compagnia dello scrittore.

Dottor Dodaro, Vibo Valentia l’ha accolta con grande affetto in libreria: è per lei una prima volta o un ritorno nella città che porta la valentia nel proprio nome?

Dottor Dodaro, Vibo Valentia l’ha accolta con grande affetto in libreria: è per lei una prima volta o un ritorno nella città che porta la valentia nel proprio nome?

<Si tratta di un ritorno, sono infatti già stato a Vibo Valentia in più occasioni. Ricordo in particolar modo una visita alla città fatta assieme alla mia famiglia quando ero bambino. In quell’occasione ebbi modo di apprezzare le bellezze del centro storico della cittadina tra cui il suo castello medievale, sede del suggestivo Museo archeologico nazionale “Vito Capialbi”. In quel viaggio a Vibo era presente anche il mio indimenticabile nonno materno, prof. Renato Piro, che a Vibo trascorse parte della sua giovinezza frequentando il locale liceo “M. Morelli”. Mio nonno conosceva bene Vibo e ho chiara in mente la gioia da lui provata nel far ritorno in quei luoghi che lo avevano visto crescere.>

Il suo nuovo libro è un dotto sprone alla conoscenza della Calabria e a una sua valorizzazione scientificamente fondata, vede in questo territorio i germi per un futuro sviluppo delle risorse?

<La Calabria è una terra che ha molto da offrire in termini di risorse naturali ed inoltre detiene un patrimonio storico-artistico rilevante che merita maggiori attenzioni e cura. La strada verso una matura consapevolezza dell’importanza di tale patrimonio e di conseguenza verso la sua valorizzazione è ancora lunga ma nutro speranze in merito. Solamente quando cittadini e politici avranno ben chiara la necessità di riappropriarsi delle proprie radici culturali, tutelando le stesse, la nostra regione potrà finalmente inaugurare una nuova stagione di rinascita e crescita.>

Qua e là emergono riferimenti alla provincia vibonese: le storie che ci riguardano sono state da lei approfondite direttamente sul campo o seguendo un altro metodo di studio?

<Nei riferimenti alla provincia vibonese mi sono affidato a fonti autorevoli, avvalendomi delle ricerche condotte da studiosi del calibro di Giulio Palange e Marilena De Bonis, autori cui si devono approfondite ricerche sul territorio calabrese.>

Diverse fonti antiche attestano la presenza di boa, enormi serpenti, sulle nostre coste tirreniche da Tropea a Ricadi; lei che idea si è fatto?

<La tradizione sui “boa” calabresi è molto antica e radicata, personalmente ritengo che abbia un fondo di verità e che le descrizioni di questi grandi rettili possano ricollegarsi ad una creatura realmente esistente quale il “cervone” (Elaphe quatuorlineata), ofide che può raggiungere dimensioni ragguardevoli. A ciò si aggiunga una descrizione fatta da Vincenzo Padula del famoso “pastura vacche”, serpente identificabile con i suddetti “boa” e reso celebre dalla sua leggendaria passione per il latte delle mucche, che combacia con quella del “cervone” avvalorando la mia ipotesi.>

Che cosa distingue l’uso dei mostaccioli a Gerocarne e a Serra San Bruno rispetto alle altre tradizionali pratiche in regione?

<Sia a Gerocarne che a Serra S. Bruno i mostaccioli conservano il loro antichissimo legame con la sfera del sacro. Pensiamo alla connessione tra questi dolciumi e particolari feste religiose come nel caso della festa di S. Rocco a Gerocarne o di quella di S. Biagio Martire a Serra S. Bruno. Negli esempi citati i mostaccioli della tradizione vengono infatti “sacralizzati” tramite particolari rituali e benedizioni che si pongono in soluzione di continuità con l’offerta di detti dolci alle divinità pagane in epoche anteriori all’avvento del cristianesimo. In questa connessione con il sacro si ritrova non solo la spiegazione della vera funzione rituale dei mostaccioli ma anche la genesi di svariate forme usate per modellare gli stessi. Non mancano poi casi in cui i suddetti dolci vengono impiegati nel corso di altro tipo di evento come avviene a Carfizzi nel Crotonese dove tradizione vuole che alla puerpera vengano offerti in dono mostaccioli a forma di aquila bicipite se il neonato è femmina, di drago se è maschio.>

Vi sono notizie su Vibo Valentia e dintorni che per motivi editoriali ha dovuto tralasciare, o comunque ne ha raccolta qualcuna che spera in seguito di approfondire?

<Potrebbe darsi, non escludo infatti di ampliare le mie ricerche sulla storia, i personaggi e le tradizioni calabresi. Se ho evitato o limitato l’indagine di alcuni centri l’ho fatto solo per delimitare uno studio che altrimenti avrebbe rischiato di rivelarsi dispersivo per quantità di argomenti trattati.>

Crede che il tessuto sociale di questa città differisca in qualcosa in paragone al resto della Calabria?

<Vibo Valentia, l’antica Hipponion, ha certamente un tessuto sociale variegato frutto della sua lunga storia. Un aspetto questo che l’accomuna a molte altre aree della Calabria. Viviamo in una regione complessa per stratificazioni culturali e patrimonio identitario tramandato ma la chiave di volta sta nel saper leggere, nelle molte storie che ci connotano, gli elementi che accomunano e rendono i calabresi popolo eterogeneo eppur unico.>

Spetta certo a noi, abitanti locali, dare seguito alle succitate testimonianze di amore per la gente cui apparteniamo. Lontano dagli italici campanilismi, il cambio di rotta sta nella cura delle vestigia ereditate e a noi affidate e nel rispetto delle identità a noi vicine in virtù delle arricchenti divergenze.

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