Amareggiata, sconfortata, delusa. Quasi pronto a gettare la spugna al punto da chiedere pubblicamente una diversa collocazione. E’ Marianna Rodolico, una dottoressa in prima linea, da tantissimi anni al Pronto soccorso di uno degli ospedali più disastrati della Calabria, ovvero lo Jazzolino di Vibo Valentia.
Ecco quanto scrive la dottoressa sul suo profilo fb dopo lo scontro avvenuto qualche giorno fa con il suo caposala all’interno del Pronto soccorso. Tutto a causa di pazienti ammassati che aspettavano un ricovero da giorni.
Al servizio degli ammalati non dei… clienti
Al servizio degli ammalati non dei… clienti
<Sconforto e delusione… solo questo posso trarre a conclusione dagli eventi succedutisi in questi ultimi giorni. Quanto accaduto, difatti, oltre la gravità dell’attacco personalmente ricevuto, mostra un ambiente ostile al cambiamento e, a mio parere, improntato al mantenimento di condizioni atte ad alimentare irrimediabilmente il malcontento degli utenti. In questo contesto la mia natura limpida, schietta, sincera ed il mio carattere diretto, lontani dall’essere apprezzati, hanno generato malumore e risentimenti, tanto da passare da vittima a carnefice. Pertanto approfitto dell’occasione per ribadire, ancora una volta, qualora non fosse chiaro, che il mio fine ultimo sia sempre stato quello di: garantire un servizio per la cura di tutti gli ammalati… Non per i miei clienti, oserei dire!>.
<Così, come stavo facendo quel giorno- spiega ancora la dottoressa -, cercando di dare una collocazione migliore a pazienti anonimi, prima di essere bruscamente aggredita; pazienti da giorni ammucchiati nei corridoi, sulle barelle, con scarsa adesione della terapia, controllo clinico insufficiente e sempre nell’attesa di un posto letto. Ebbene, a fronte di ciò, mi sono vista, invece, falsamente accusata sui giornali di clientelismo, di minacce di tipo mafioso, di pessimo rapporto con l’utenza e col personale>.
Avevo la stima di tutti
<Lo stesso personale che nel tempo mi ha sempre stimato, oggi mi condanna di colpe inesistenti, adducendo appoggio e ragione a chi mi ha accusato con parole infamanti, denigrando la mia persona e la mia qualifica professionale. Tutto questo – sottolineo ancora – per aver ricoverato in un reparto, mai chiuso, e con l’assenso della direzione sanitaria, quei pazienti che da giorni erano li. Mai avrei immaginato che ciò avrebbe potuto scatenare una reazione così accesa da parte della componente infermieristica e del loro coordinatore, questo ultimo peraltro fuori servizio, il quale, irrompeva in reparto con arroganza e prepotenza, ostacolando il lavoro di un sanitario nel pieno delle sue funzioni>.
Venticinque anni in trincea
<La mia riflessione, lecita e conclusiva, è pensare di aver sacrificato, per ben 25 anni, tempo e salute in un luogo in cui lo stress è davvero invalidante e deprimente. Purtroppo, non è gratificante vedere i corridoi pieni di malati da collocare come, del pari difficile è sopravvivere al silenzio istituzionale. Ovviamente, tutti gli operatori del settore soffrono per queste condizioni e la carenza di organico rende ancora peggiore lo svolgimento del lavoro ma, a differenza altrui, il mio obiettivo umano e professionale mi impone di andare avanti, oltre gli ostacoli e senza timore, senza calpestare la mia dignità e la dignità di ogni ammalato>.
Ora fatemi andar via
<Detto ciò, nella consapevolezza che probabilmente abbia perso soltanto del tempo a scrivere queste parole, posso almeno dire di essere contenta di non aver mai avuto sul capo i piedi di tanti o di qualcuno.
Non nascondo, difatti, che uno dei motivi che mi ha spinto a continuare in questo reparto è stata la soddisfazione mostrata da chi ha apprezzato ed apprezza il mio lavoro, nonostante le difficoltà e la sensazione di abbandono che spesso mi circonda; ancora di più, oggi, dopo essere stata additata come mina vagante, mafiosa e destabilizzante per un intero reparto. Mi dispiace, inoltre, che questa vicenda sia passata in mano alla pubblica opinione – non certo per mia volontà – tanto da suscitare disagio alla mia immagine, a quella del reparto e dell’azienda.
Ritengo quindi sia giunto il momento di valutare una mia nuova collocazione perché non credo sia possibile continuare a lavorare assieme a personale ostile. Sarà poi il tempo, che è galantuomo, a dare un seguito ai fatti….>.