Alle prime ore dell’alba, un’importante operazione congiunta ha coinvolto i carabinieri del Ros e il personale del Comando provinciale di Reggio Emilia, che hanno dato esecuzione a un’ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bologna. Sei indagati sono stati accusati di trasferimento fraudolento di valori in concorso e di elusione dei provvedimenti di confisca patrimoniale, con l’aggravante di aver agevolato l’attività della ‘ndrangheta operante in Emilia Romagna. Nel corso dell’operazione, sono stati sequestrati beni per un valore di circa 250.000 euro, tra cui una società intestata fittiziamente a prestanome, con sede nella provincia di Reggio Emilia.
Indagini
L’operazione, denominata “Sugar Beet”, è il frutto di un’indagine coordinata dalla Dda di Bologna, partita da una segnalazione del Consiglio nazionale del notariato riguardante una società sospetta. In fase di preparazione degli atti, infatti, è emersa la presenza di un soggetto con precedenti giudiziari legati ad operazioni antimafia, tra cui le note operazioni Grimilde e Perseverance.
Attraverso un’analisi approfondita dei rapporti bancari e della documentazione contabile, accompagnata dalle intercettazioni, gli investigatori hanno ricostruito un sistema di operazioni fraudolente. La società sospetta era stata intestata formalmente a due indagati, mentre il controllo effettivo era nelle mani di un socio occulto. Gli indagati avevano eluso i provvedimenti di confisca patrimoniale, trasferendo attività imprenditoriali di valore, come il settore dei trasporti e autotrasporti, alle loro nuove imprese.
Società intestata a prestanome
In particolare, è emerso che i guadagni derivanti dall’attività di coltivazione delle barbabietole, che erano stati registrati in calo nelle società confiscate, sarebbero stati invece trasferiti a favore della nuova società intestata a prestanome, che ha visto un notevole incremento dei propri ricavi. L’indagine ha anche rivelato il tentativo degli indagati di infiltrarsi nel settore degli appalti pubblici, utilizzando la “White List”, un elenco di imprese ritenute affidabili per le gare pubbliche.
Inoltre, due indagati sono stati accusati di aver tentato di indurre dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, aggravando la loro posizione con l’utilizzo di metodi mafiosi. Le indagini hanno infine confermato il legame delle azioni criminose con l’attività della ‘ndrangheta, che operava nell’area emiliana.
Il gip ha accolto le richieste della Dda di Bologna, applicando misure cautelari nei confronti degli indagati. Un arresto in carcere è stato disposto per uno degli accusati, mentre gli altri cinque sono stati posti agli arresti domiciliari. L’operazione segna un ulteriore passo nella lotta alla criminalità organizzata e al tentativo di infiltrazione mafiosa nell’economia legale.