E se domani i tribunali sparissero? La distopia impossibile nel tempo in cui tutti si fanno “giudici”

Un giudice civile immagina un mondo senza più legge, avvocati e magistrati: riaprono le attività a Cuori d'inchiostro

Un telefono in bachelite, nero, poggiato sul tavolo. Il pubblico in sala, piena quasi fino alla porta di ingresso. Il silenzio di chi attende di essere stupito da qualcuno. “Pronto?”; “Ci siamo?”; “Bene, allora cominciamo!”.

Con questo inconsueto siparietto, capace di suscitare un simpatico apprezzamento, si è dato l’avvio alla serata inaugurale della nuova stagione letteraria che la Libreria Cuori d’inchiostro donerà a Vibo Valentia nel corso dell’autunno. L’onere dell’inizio è stato affidato dalle libraie, sempre più tenaci nella propria battaglia culturale nonostante le crescenti difficoltà nel mandare avanti una libreria indipendente, al magistrato e docente di lungo corso Antonio Salvati, autore del nuovo romanzo ‘Tzimtzum. I giudici riluttanti’. L’evento, coordinato dall’articolista e recensore Michele Andronico, si è tenuto venerdì 20 settembre ed è stato un successo che fa ben sperare per la riuscita delle future presentazioni.

Con questo inconsueto siparietto, capace di suscitare un simpatico apprezzamento, si è dato l’avvio alla serata inaugurale della nuova stagione letteraria che la Libreria Cuori d’inchiostro donerà a Vibo Valentia nel corso dell’autunno. L’onere dell’inizio è stato affidato dalle libraie, sempre più tenaci nella propria battaglia culturale nonostante le crescenti difficoltà nel mandare avanti una libreria indipendente, al magistrato e docente di lungo corso Antonio Salvati, autore del nuovo romanzo ‘Tzimtzum. I giudici riluttanti’. L’evento, coordinato dall’articolista e recensore Michele Andronico, si è tenuto venerdì 20 settembre ed è stato un successo che fa ben sperare per la riuscita delle future presentazioni.

Una volta squillato il telefono e risposto alla chiamata, il relatore si è appropinquato all’autore già seduto leggendo ad alta voce parti del libro, in un ricamo di brani dediti a introdurre la platea nella folle atmosfera del testo. Non così tanto lontana dal presente, però, se si riflette in maniera oggettiva sulla realtà profondamente tribunalesca che viviamo ogni giorno. Ne siamo al contempo le vittime e gli artefici: talk show e social media hanno convinto milioni di persone di essere divenute, tutt’a un tratto, professioniste di qualsiasi settore, così da sentirsi in diritto di giudicare le esistenze altrui. E la pena assegnata, ça va sans dire, è sempre quella massima. Al contempo si pretende, in un pericoloso fraintendimento del ruolo rivestito dalle e dai giudici, che questi siano implacabili e mai in errore, con verdetti degni del più terribile fra i totalitarismi.

Nel futuro tratteggiato, non si sa quanto – e se – distante dall’oggi, una rivoluzione popolare proclama finalmente la fine del sistema giudiziario, problematico e inefficiente, per sostituirlo con una molto più snella procedura gestita da una misteriosa voce che non cade mai in fallo. Una vecchia rocca viene trasformata in una fortezza a mo’ di panottico, ma non ci si aspetti un luogo buio e tetro… È invece bellissimo al suo interno e con arredamenti alla moda, e alla stessa maniera pure la sorveglianza è di quelle moderne e raffinate. Abolita la legge, paradossalmente, gli esseri umani si scoprono meno disposti a delinquere e più responsabili nei confronti degli altri, tanto che nel novello carcere sono solo in quattro a essere detenuti, quattro individui in attesa di una sentenza che conosceranno proprio grazie a un telefono in bachelite nella cella. La voce, rigorosamente non umana e perciò inerrante, li dichiarerà senza tema di smentita colpevoli o innocenti. Della voce si fida chi sa di essere innocente, perché di certo essa ne riconoscerà l’incolpevolezza; e se ne fida peraltro chi ammette in coscienza la propria reità, convinto della giustezza della pena comminata.

Basta con le contraddizioni tra giudici e con le idiosincrasie tra sentenze: la verità è solo una e uno solo può stabilirla, non è vero? La risposta è sì, se almeno la consideriamo con la lettera maiuscola. Secondo una dottrina della mistica ebraica, lo tzimtzum sarebbe la ritrazione di Dio coincisa con la creazione del mondo; la luce che contrae se stessa come il respiro, lasciando spazio all’espressione delle tenebre. Un ritiro che si fa riconoscimento della libertà per le creature: la dignità del limite, implicita nella consapevolezza che ricostruire i fatti per giudicarli non può che essere interpretazione perfettibile.

Vivere è errare e, se lo si fa onestamente, non si sbaglia mai. Come mai sbaglia un giudice onesto.

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