È stato un pomeriggio intenso quello vissuto ieri alla Conferenza dei Sindaci, convocata per discutere le ormai croniche criticità del sistema sanitario della provincia vibonese. Un incontro tanto atteso, nel quale finalmente è emersa una volontà condivisa di alzare la testa, di pretendere rispetto e risposte concrete per un territorio che da troppo tempo si sente abbandonato.
“Abbiamo apprezzato la volontà dei sindaci di fare fronte comune per rivendicare maggiore attenzione nei confronti del nostro territorio”, hanno commentato con una nota congiunta Daniela Primerano, Francesca Guzzo e Ornella Grillo dell’Osservatorio Civico Città Attiva, che seguono da vicino le vicende sanitarie vibonesi. “Parliamo di risorse, posti letto, personale: elementi essenziali per garantire il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione”.
Segnali incoraggianti ma ancora troppi nodi irrisolti
La conferenza ha visto la presenza al completo della Commissione straordinaria, affiancata dal direttore amministrativo, un segnale che le attiviste civiche hanno letto come un’apertura al confronto. “La disponibilità al dialogo è importante – hanno sottolineato – e accogliamo con favore la notizia del ripristino immediato della risonanza magnetica, arrivata dopo la nostra diffida. Ma non possiamo ignorare la totale assenza di un piano concreto per risollevare la sanità vibonese”.
A colpire, più delle promesse, sono state le parole del Prefetto Piscitelli: “Non abbiamo la bacchetta magica”. Una frase che ha lasciato l’amaro in bocca a molti. “Quello che vorremmo sentire – ribattono le attiviste – è un lungo elenco di cose già fatte, non dichiarazioni di impotenza”.
I numeri, del resto, parlano chiaro. Vibo resta fanalino di coda nella distribuzione dei posti letto: da un già misero 1,86 per 1000 abitanti, si passerà – dopo la riprogrammazione della rete ospedaliera – appena a 2,39. Una cifra ben al di sotto della media nazionale (3×1000) e lontanissima da altre realtà calabresi come Catanzaro (4,10 → 4,57) e Crotone (3,92 → 4,00).
La questione del personale e il paradosso della “produzione”
Altro punto dolente: la carenza di personale sanitario. “È stato riconosciuto apertamente – si legge nella nota dell’Osservatorio – ma ci è stato anche detto che per ottenere maggiori risorse l’Azienda deve aumentare la produzione. Ma come si può produrre di più, se mancano medici e infermieri? Se non ci sono letti né servizi attivi?”
Un interrogativo tanto semplice quanto esplosivo, al quale – secondo le attiviste – la Commissione Straordinaria dovrà fornire risposte precise, “perché è suo obbligo garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, in coordinamento con il Commissario ad acta ai sensi dell’art. 4 comma 1 del Decreto Calabria”.
Privato accreditato: perché solo a Crotone? E Vibo?
Non ha convinto neanche il tentativo del Direttore Amministrativo di spiegare il forte sbilanciamento delle risorse verso altre aree, in particolare Crotone, dove il privato accreditato ha trovato ampio spazio. “Ci è stato detto che si è usato il criterio della deprivazione sociale per rivendicare risorse per Vibo – spiegano le avvocate – ma noi non siamo disponibili ad accettare una semplice presa d’atto delle discriminazioni. Vogliamo una volontà precisa di porvi fine”.
Il punto, dicono, non è capire perché il privato accreditato si sia concentrato altrove. “Il punto è sapere quali misure di riequilibrio l’Azienda intende mettere in campo per garantire anche ai cittadini vibonesi gli stessi servizi che altrove sono assicurati dal privato. L’articolo 3 della Costituzione non ammette distinzioni tra cittadini per residenza”.
“Ora servono serietà e maturità”
L’auspicio dell’Osservatorio è chiaro: che questa ritrovata unità istituzionale non si disperda, e si traduca finalmente in atti concreti. “Se la provincia di Vibo è stata penalizzata nel tempo – concludono – è anche colpa di una classe politica incapace di rivendicare diritti costituzionalmente riconosciuti. Da oggi in poi ci aspettiamo più serietà, più maturità. Perché la sanità non è un lusso: è un diritto”.
La palla ora passa alle istituzioni. La cittadinanza guarda, ascolta, prende appunti. Ma soprattutto, non è più disposta ad accettare il silenzio.