“La lotta alla mafia… non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità”. Così scriveva Paolo Borsellino il 23 giugno 1992 intervenendo in un convegno tenutosi nella biblioteca di Palermo. A distanza di 32 anni, le sue parole echeggiano ancora nell’aria mantenendo intatta la loro valenza e la loro attualità. Fanno riflettere. Spingono a guardarsi attorno, a leggere criticamente la realtà d’oggi. E non sono solo rose e fiori. Di lotta alla mafia, infatti, se ne parla quotidianamente e si promuovono tante attività. Ma basta solo questo per arginare un fenomeno che lo stesso Borsellino sosteneva essere “il primo problema morale da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata”? Indubbiamente, oggi si sta facendo tanto e qualcosa sta cambiando, però la cronaca di tutti i giorni ci dice che non basta. Qualcosa va aggiustata.
Non solo parole
Non solo parole
La lotta alla mafia non può essere fatta solo con convegni, manifestazioni e sfilate. Non bastano solo le parole. Occorrono anche fatti concreti ed esempi illuminanti. E’ questo un ritornello che si ripete quotidianamente e che si può ascoltare in ogni piazza e in ogni via. Non si può negare che lo stesso contenga un bel fondo di verità. E’ vero che combattere la criminalità organizzata, la corruzione e l’illegalità dovrebbe essere un compito spettante a ogni singolo cittadino, ma il peso maggiore e più incisivo lo devono sopportare, in primis, lo Stato, la Scuola, la Chiesa, la Famiglia, Enti, Istituzioni e chiunque giochi un ruolo anche minimo nella società. A scanso d’equivoci, va, tuttavia, rimarcato un punto fondamentale: i convegni, i dibattiti, i confronti tra esperti, il dialogo con i giovani, son cose che hanno una fondamentale importanza. Tutte le possibili iniziative che possono contribuire ad arricchire la conoscenza del fenomeno e ogni singolo bagaglio culturale vanno portate avanti con determinazione, sempre e comunque. Ben vengano, quindi, i convegni, le iniziative promosse dal mondo dell’associazionismo con “Libera” in testa, i progetti sulla legalità.
Il ruolo dello Stato
Se, poi, però, la gente si guarda attorno e s’accorge che i processi sono lenti e non garantiscono giustizia, molti reati restano impuniti, i beni confiscati non vengono utilizzati e finalizzati per come si dovrebbe, i Comuni vengono sciolti per mafia senza alcun risultato, gli imprenditori non possono operare in sicurezza, i collaboratori e i testimoni di Giustizia vengono spesso abbandonati al loro destino dopo aver vissuto anni d’inferno – il caso dell’ex falegname di Rombiolo Michele Tramontana che ha aspettato per oltre sedici anni la sentenza di primo grado potrebbe essere il classico esempio, ma non l’unico – e si potrebbe continuare su questo binario, appare chiaro che l’azione dello Stato deve essere rivisitata e resa più incisiva e più efficace. E non solo l’azione dello Stato.
…e della Scuola
Un ruolo diverso, infatti, lo devono giocare la Famiglia, la Chiesa non sempre in linea col proprio mandato e, soprattutto, la Scuola. La migliore azione preventiva deve partire proprio dalle aule scolastiche. E’ qui che spesso il giovane, prima ancora di arruolarsi nella criminalità, matura le sue esperienze negative facendo il bullo, maltrattando i compagni, offendendo e aggredendo i docenti, alimentando il consenso tra compagni poi pronti ad agire male anche all’esterno. E qui che ai ragazzi, invece, vanno imposte e fatte rispettare le regole utilizzando tutti i possibili accorgimenti didattici per aiutarli a impattare con la società e con il mondo del lavoro senza traumi. Non vanno educati, sia ben chiaro, a vivere da “giustizieri” contro le mafie, bensì ad avere un rapporto sano e corretto con il prossimo, a nutrirsi di valori inalienabili come la libertà, la democrazia, la pace, la giustizia. Valori che se ben radicati e alimentati, diventano, di per sé, l’arma vincente contro la violenza e l’arroganza delle mafie.
I giovani “vanno parlati”
Dirigenti scolastici, docenti e personale Ata sanno perfettamente che il loro compito è tanto delicato quanto fondamentale. Non possono tirare a campare, non possono venir meno al loro ruolo. I giovani, tutto sommato, non sono quelli che vengono comunemente descritti: vittime dei social, indifferenti, distratti, senza obiettivi e senza futuro. I giovani hanno bisogno di punti di riferimento preparati e credibili. Sono intelligenti e sanno ascoltare. Tocca alla Scuola formarli al meglio. E lo Stato non può pretendere solo doveri. Deve anche vigilare e garantire diritti, creare opportunità, assicurare equità sociale. Non ci sono altre strade per battere le mafie.