Un patrimonio culturale immenso caduto nell’oblìo. Ma Nicotera ha bisogno di ritrovare il suo passato per costruire un futuro migliore, ha bisogno di affiancare al turismo tutte le altre risorse di cui dispone e che non sono poche. Un ruolo fondamentale per arricchire le attrattive e richiamare nel comprensorio non solo il popolo dei vacanzieri estivi, ma anche i flussi mossi dai turismi scolastico, religioso, enogastronomico, naturalistico, può e deve giocarlo il turismo culturale. A riaccendere i riflettori sul patrimonio esistente sul territorio è l’avv. Giuseppe Calopresti, vicepresidente e responsabile del dipartimento Cultura dell’associazione “Difesa diritti del territorio” (Ddt).
Situazione attuale
Situazione attuale
A suo avviso, il quadro attuale è sconfortante: museo archeologico e museo della petrografia vaporizzati, museo d’Arte sacra – un sito tra i più validi del Meridione – chiuso da quasi cinque anni. Resta attivo solo il museo della Civiltà contadina, ubicato a palazzo Convento. Non è valorizzata adeguatamente neppure la giudecca, non decolla il progetto del recupero dei tanti mulini esistenti, le chiese sono quasi sempre chiuse, il castello dei Ruffo non è accessibile, la torre angioina è stata ceduta dal proprietario al Comune di Joppolo pur sorgendo nel territorio di Nicotera. Recentemente, grazie all’impegno di Amministrazione comunale, Ddt e Touring Club è stato liberato da rovi e sterpi il sito della cava romana per metterlo a disposizione di archeologi e geologi provenienti da Catania e Marsiglia, ma lo stesso, per una serie di motivi, non è visitabile. Non è stata neppure avviata la riqualificazione del quartiere “Baglio” da qualche anno meta di masse di turisti attratti dal “Vicolo degli ombrelli” e dalla “Via dell’Amore”, nonché dalla vicina e ormai famosa “Via del vischio”.
Primo obiettivo: riaprire i Musei
Non si parla più di Museo archeologico, eppure “quello chiuso parecchi anni fa dalla Soprintendenza – spiega Calopresti – conteneva reperti di valore tra cui: una raccolta numismatica, frammenti di ceramica romana e medievale, selci paleolitiche provenienti da Monte Poro, Torre Galli e Caroniti; reperti neolitici provenienti da villaggi della zona; ossidiane da Lipari; un osso parietale di bambino del tipo di Neandertal; corredi dell’Età del Bronzo e dell’Età del Ferro; reperti provenienti da tombe a fossa (alcune ricostruite in loco): ciottoli, pendagli bronzei (uno di tipo antropomorfo), fibule, lance e pettorali; vasetti miniaturistici della stipe votiva di C.da Ferrari (VI-V a.C.), reperti provenienti da Medma e tanto altro ancora. Il minimo che si possa fare, e la Ddt l’ha già ripetutamente proposto, è lavorare per riaprire il museo. L’amministrazione comunale – prosegue – è favorevole al progetto, che richiede un po’ di tempo, ma è sicuramente fattibile”.
La statuetta della dea Atena
Oggi, i reperti che qualche anno fa erano esposti nel Museo archeologico si ritrovano ammassati in un deposito del Comune, mentre i pezzi più pregiati si trovano al Museo Nazionale di Reggio Calabria oppure a quello di Vibo. Ma c’è anche dell’altro. “A Nicotera – rimarca il vicepresidente della Ddt – è stata ritrovata, nel luglio 2007, una statuetta della dea Atena, in occasione degli scavi di una necropoli greca del V o IV sec. a. C. nei pressi di Badia, venuta alla luce durante i lavori per la realizzazione del nuovo tracciato della Provinciale Nicotera-Limbadi. In occasione del convegno organizzato dopo il ritrovamento – continua – l’allora direttrice del Museo “Vito Capialbi” di Vibo Valentia, dott.ssa Maria Teresa Iannelli, dichiarò di essersi imbattuta in qualcosa di molto rilevante da un punto di vista storico e scientifico: “quattro tombe risalenti a epoca precristiana, con all’interno gli scheletri di due adulti e due bambini, più una serie di suppellettili, tra cui due lucerne e una statuetta di Atena”.
Rimboccarsi le maniche
Una scoperta davvero eccezionale soprattutto in considerazione del fatto che è rarissimo trovare resti osteologici così antichi. Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il tempo e l’umidità finiscono per cancellare ogni traccia biologica. A 14 anni da quel ritrovamento “nulla è stato più fatto – conclude Calopresti – per valorizzare tali reperti che, presumibilmente, giacciono in qualche magazzino del Museo Archeologico di Vibo”. C’è una sola cosa da fare: rimboccarsi le maniche e stillare sudore per recuperare il tempo perduto.
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