Museo fantasma al Castello, in programma da decenni e mai realizzato – non è il Vito Capialbi –

Che fine ha fatto il progetto del Museo della Civiltà? Un'ode alla cultura popolare vibonese mai cantata da alcuno

Sembrava pronto a venire di lì a poco, e invece non se ne vide mai neppure l’ombra. Il Castello svevo era in procinto di subire un restauro completo in vista della sua istituzione, ma le esigenze del momento lo impedirono.

Pochi magnati locali sono rimasti nel cuore del popolo vibonese: a Vincenzo Nusdeo è riservato un posto speciale in più àmbiti della vita civile. Intraprese attivamente svariate battaglie per tutelare i beni archeologici e architettonici, promuovendo la nostrana cultura artistica. Uno dei suoi identificativi scopi di vita era l’estensione della loro fruizione al più vasto pubblico, necessaria per coltivare il senso della salvaguardia.

Pochi magnati locali sono rimasti nel cuore del popolo vibonese: a Vincenzo Nusdeo è riservato un posto speciale in più àmbiti della vita civile. Intraprese attivamente svariate battaglie per tutelare i beni archeologici e architettonici, promuovendo la nostrana cultura artistica. Uno dei suoi identificativi scopi di vita era l’estensione della loro fruizione al più vasto pubblico, necessaria per coltivare il senso della salvaguardia.

A lui dobbiamo la fondazione dell’odierno Museo Archeologico Nazionale, operazione per la quale si adoperò con invidiabile acribia. L’ “antiquarium cittadino” richiedeva come sede una delle maggiori residenze nobiliari, Palazzo Gagliardi, preparato all’occorrenza nel piano superiore e debitamente inaugurato nel 1969. La novità, alla maniera di un domino incontrollabile, si riversò positivamente nella proliferazione di ulteriori indagini e scavi nel territorio, sinché il materiale raccolto non acquisì un volume tale da precluderne la dovuta esposizione nell’edificio: si era nelle condizioni di ampliare il museo del doppio, mancando di contare le sale per sole persone addette ai lavori.

Di fronte a proposte che prospettavano trasferimenti altrove, il commendatore proclamava con fermezza l’obbligatorietà di lasciarlo in quell’esatto immobile patrizio pur acquisendo spazi all’epoca destinati a diverse attività, nella più bella piazza del centro storico e dalla magnificente armonia; ne andava di mezzo il futuro sviluppo dell’allestimento.

Qualcuno pensò al Castello, tuttavia per valorizzarlo era già nell’aria il progetto di adibirlo a Museo della Civiltà: un ricovero di antichità folcloristiche, unito a un centro di studi e affiancato da un itinerario storico della città. Nello specifico, al piano inferiore un percorso sulla civiltà che andava scomparendo, ovverosia quella contadina, artigianale e piccolo borghese; di sopra, in un salone addobbato con antiche immagini e cimeli della vecchia Monteleone, uno spazio per incontri di studi e dibattiti; il grande atrio interno, quindi, per le manifestazioni estive.

Il sogno dell’encomiabile dottore venne però a sfumare nel 1995 a causa del decisore politico, da lui deplorato. Un castello al margine dell’abitato, in zona fredda d’inverno e sottoposta alle intemperie, con luoghi inadeguati e insufficienti, addirittura inferiori per numero a confronto del precedente collocamento. Sarebbe sì andato bene per uffici, laboratori, depositi, anche per mostre ed eventi – così da divenire un aggiuntivo attrattore turistico – , ma non per l’archeologico.

“Il trasferimento del Museo al Castello ne segnerebbe il destino”: chiosa profetica?

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