Quando Roma ospitò l’ ‘Esposizione di Belle Arti’ nel 1883, si era in una fase della Storia ancora scevra di una strutturata critica artistica in merito alla contemporaneità italiana. Un contesto dilettantistico che tuttavia seppe accogliere il primo grande tentativo di mettere in mostra la produzione creativa di ogni regione.
Tutto si discuteva in merito alle opere del passato, laddove di quelle coeve si scriveva al più in qualche libro sconosciuto alle masse; ai giornali, letti dal popolo, non giungevano articoli. E chi se ne occupava soleva tracciare con rapidi tratti una descrizione dell’autore, mancando di approfondire l’identità dei lavori in tutti i possibili aspetti.
Tutto si discuteva in merito alle opere del passato, laddove di quelle coeve si scriveva al più in qualche libro sconosciuto alle masse; ai giornali, letti dal popolo, non giungevano articoli. E chi se ne occupava soleva tracciare con rapidi tratti una descrizione dell’autore, mancando di approfondire l’identità dei lavori in tutti i possibili aspetti.
Il 21 gennaio si tenne l’inaugurazione ufficiale dell’evento, rigorosamente riservata a personalità autorizzate dal sindaco. Le varie capitali europee già da anni organizzavano esposizioni periodiche di “belle arti”, ma la particolarità del caso italiano aveva suscitato polemiche e dubbi. Non esisteva affatto un popolo nazionale, né si era partorita una cultura unitaria; si rischiava di presentare al mondo uno specchio di contraddizioni mai risolte, se non quell’acceso dibattito sull’inadeguatezza di una centralità statale persino nel fare artistico. Ragion per cui si stabilì di aprire la kermesse a personalità provenienti da oltralpe.
Non era assente la compagine calabrese, ottimamente rappresentata pure dal comprensorio del Monteleonese. Da Mongiana, Salvatore Pisani inviò tre pregevoli opere in marmo, descritte come alquanto trascurate dai cronisti dell’epoca: ‘Lacrime’, ‘Il marinaro’ e ‘Il dispettoso’. Questi ebbe la fortuna di crescere attorniato dai lavoratori di un’antica fabbrica d’armi, di cui seppe rubare la perizia; poco tempo prima aveva brillantemente superato una prova di scultura modellando un busto di Alessandro Manzoni. Guglielmo De Martino, proveniente da Nicastro eppure ben noto alle nostre latitudini, vi prese parte con due piccoli quadri a olio raffiguranti scene di campagna: ‘Ricordo di Cerchiara in Calabria’ e ‘Studio dal vero’. Fu allievo dell’insigne Andrea Cefaly, punto di riferimento per i giovani innamorati dell’arte, tuttavia la sua fama si innestò al di là della regione conquistando la complicata Napoli. E proprio da là, inaspettato, giunse il tributo versato dal pittore Girolamo Nattino, autore di un minuto dipinto intitolato allusivamente ‘Avanzi angioini a Monteleone in Calabria’: dentro la cornice si è rappresentato un arco abbastanza diroccato, sopra il quale si apprezza un cielo terso, con nelle vicinanze una contadina in abiti tipici e sullo sfondo la rigogliosità del paesaggio.
È da considerarsi un successo la stima che la produzione del territorio vicino all’attuale Vibo Valentia suscitò nella critica, esito non comune ad altre zone limitrofe. L’arte italiana tagliava così il nastro di partenza, e noi c’eravamo. A testa alta.