Qualcuno, tempo addietro, deve essersi sbagliato nel riportare la data relativa a uno tra i fatti più incresciosi del nostro passato recente. Un refuso, una svista, un errore di stampa: nessuno si è più preso la premura di verificare alla fonte, e dopo cinquant’anni ancora circola l’antica inesattezza.
Parliamo dei quattro angeli, in bronzo dorato e dal valore inestimabile, rubati dal Duomo nonostante una piazza illuminata a giorno e nel silenzio più totale.
Parliamo dei quattro angeli, in bronzo dorato e dal valore inestimabile, rubati dal Duomo nonostante una piazza illuminata a giorno e nel silenzio più totale.
Questi, capolavoro dello scultore e architetto bergamasco Cosimo Fanzago, provenivano dal suo Ciborio di Serra San Bruno, realizzato nella quarta decade del Seicento e posto sotto la cupola della vecchia Certosa. Il terribile sisma del 1783, radendo al suolo l’edificio, ne provocò lo smembramento, ma nel 1837 fu rimontato pressappoco integralmente in un altro luogo sacro della città, mentre le statue che lo impreziosivano erano già state traslocate a Monteleone trent’anni prima. La Chiesa di Santa Maria Maggiore e San Leoluca accolse gli angeli oranti sul basamento delle nicchie superiori del Trittico, di fattura cinquecentesca, composto dal notevole Antonello Gagini, ritenuto appartenere ai maggiori scultori rinascimentali.
E lì rimasero fino alla sera del 3 maggio 1972, come confermato dalle notizie lanciate localmente la mattina del 5 maggio. I giornali raccontarono l’intera vicenda occorsa il giorno precedente – 4 maggio – a seguito della triste scoperta operata nella cappella, e ciò dimostra come la sottrazione non possa essersi compiuta lo stesso 5 maggio. La confusione sta nell’identificare il giorno della notizia con quello del furto, oltreché nell’errare l’anno: non si era nel 1973.
La mattina del 4 maggio, la sorpresa: alle 6:30 il segretario del Duomo notò le porte del tempio aperte. I ladri, evidentemente forestieri, avevano forzato quelle posteriori e si erano fatti luce internamente con alcuni fiammiferi; tuttavia non sapevano dell’esistenza, nella parte laterale, di una porta lignea che immetteva in una piccola biblioteca isolata da tutto il resto, e così sfondarono prima questa inutilmente e poi tornarono indietro facendosi strada con l’abbattimento di un’altra porta lignea, quella giusta. Scopo del blitz erano i soli quattro angeli, catalogati nei monumenti nazionali, unica refurtiva certificata. Il 4 maggio trascorse in uno smisurato trambusto, con tempestivi interventi delle forze dell’ordine e un disperato viaggio di monsignor Onofrio Brindisi verso Cosenza per informare la Soprintendenza.
I quattro pezzi furono totalmente recuperati sette anni dopo, grazie anche a un inseguimento notturno con tanto di sparatoria. Ricollocati, nel 1988 si trasferirono infine nel Museo d’Arte Sacra al Valentianum.
Sopravvissuti a terremoti e criminali, gli angeli non ci hanno abbandonato. Troppo ardito sperare in un riposizionamento che non li privi della loro originaria funzione?