I danni dell’ignoranza agricola e l’innocenza della povera gente

È quando la terra non dà frutto che ci si interroga su come la si è coltivata

Il cliché del “contadino ignorante” è duro a morire. Giudicare qualcuno con categorie non pertinenti, infatti, dirige la valutazione all’errore. I contadini sono depositari di conoscenze ataviche, espertissimi della propria arte più di tanti soloni da accademia.

E guai se non lo fossero! Il nostro sostentamento e la nostra salute da loro dipendono, responsabili del cibo che ci alimenta. Alcuni accadimenti, tuttavia, segnalano periodicamente il livello competenziale di tali lavoratori.

E guai se non lo fossero! Il nostro sostentamento e la nostra salute da loro dipendono, responsabili del cibo che ci alimenta. Alcuni accadimenti, tuttavia, segnalano periodicamente il livello competenziale di tali lavoratori.

Ne fu un esempio la tragica penuria di raccolto a fine Ottocento: quell’anno l’unica derrata di olive fallì, gettando nello sconforto i proprietari terrieri e gli agricoltori loro sottoposti. I primi patirono più dei secondi, poiché spesso si trattava dell’unica entrata con cui provvedere ai bisogni economici; gli altri ebbero invece la noia di ritrovarsi privati di un lavoro quotidiano sicuro e ben retribuito. Una disgrazia che coinvolse per forza anche l’anno successivo, considerando che gli ulivi fruttificano per la maggior parte biennalmente. Già all’epoca era frequente il piagnisteo per i tempi andati, prodighi di fertilità e abbondanza. Ma evitando di scomodare più del dovuto i cambiamenti climatici, attenti analisti rinvennero nel sovrasfruttamento del suolo e nella sua poca cura le cause della diminuzione dei prodotti agricoli.

Tradizionalmente i terreni subivano larghe concimazioni, profondi dissodamenti, scavi di lunghi fossi per lo scolo, certosine potature; pratiche vòlte al loro mantenimento per il futuro e non a guadagni immediati, ciechi per l’avvenire. Al massimo, i contadini di quel periodo erano piuttosto abituati a lavorare il terreno alla buona, interessandosi quasi alla sola semina. Dopo le miserie susseguenti all’Unità d’Italia, le antiche competenze stavano andando a perdersi e nessuno investiva su una migliore gestione dei poderi. Tra i proprietari si era persa l’usanza di assegnare ad almeno un componente della famiglia, sin da piccolo, la gestione della campagna, limitandosi ormai alla mera visita dei possedimenti un paio di volte all’anno, presi come si era da numerose altre occupazioni.

Il grande male erano allora le inadatte scuole di agricoltura, risibilmente rette da insegnanti non avvezzi alla vita agreste e dediti al mero studio teorico sui libri. Il loro impatto sulla vita vera fu perciò devastante.

Non padroneggiare le nozioni prettamente scolastiche non equivale affatto a essere “ignoranti”. Come i contadini di una volta sapevano tutto del proprio mestiere ma nulla di altri, allo stesso modo ciascuno di noi è preparato in una tal cosa e manchevole in una tal altra. Non risulta esistano professori onniscienti dell’intero scibile umano.

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