Il territorio italiano è famoso per l’ingestibile copiosità delle tracce archeologiche nell’immediato sottosuolo. Basta scavare, che dico, sollevare una minima zolla di terra per avvicinarsi alle defunte superfici di calpestio.
A inizio marzo 1883 vi fu l’ennesima scoperta vibonese a opera di semplici agricoltori. Quel giorno, nell’appezzamento chiamato ‘Il potere’ – destinato alla coltivazione e situato lungo la strada per Pizzo – , gli zappatori erano intenti a lavorare come al solito, quando all’improvviso si trovarono di fronte a una sorpresa imprevedibile. Mentre interravano le fave e i lupini freschi, per rendere più fertile il terreno dove erano cresciuti, si accorsero che pochi centimetri sotto si stendeva uno strato solido tendente al bianco, visibile a tratti. Pensarono subito a un pavimento a massicciata, stranamente lì in piena campagna. Incuriositi, notarono che presentava disegni formati da tanti piccoli pezzi di marmo, alcuni colorati: si trattava di mosaici. A dirla tutta, già circolavano dicerie su questi pavimenti nella zona, magari intravisti in passato e risotterrati senza colpo ferire. Chissà che qualcuno non pensasse addirittura favorissero l’abbondanza dei raccolti, spingendo a ricoprirli e a concimarli.
A inizio marzo 1883 vi fu l’ennesima scoperta vibonese a opera di semplici agricoltori. Quel giorno, nell’appezzamento chiamato ‘Il potere’ – destinato alla coltivazione e situato lungo la strada per Pizzo – , gli zappatori erano intenti a lavorare come al solito, quando all’improvviso si trovarono di fronte a una sorpresa imprevedibile. Mentre interravano le fave e i lupini freschi, per rendere più fertile il terreno dove erano cresciuti, si accorsero che pochi centimetri sotto si stendeva uno strato solido tendente al bianco, visibile a tratti. Pensarono subito a un pavimento a massicciata, stranamente lì in piena campagna. Incuriositi, notarono che presentava disegni formati da tanti piccoli pezzi di marmo, alcuni colorati: si trattava di mosaici. A dirla tutta, già circolavano dicerie su questi pavimenti nella zona, magari intravisti in passato e risotterrati senza colpo ferire. Chissà che qualcuno non pensasse addirittura favorissero l’abbondanza dei raccolti, spingendo a ricoprirli e a concimarli.
Pochi anni prima, infatti, le acque che scorrevano di fronte al podere, nel solco della strada dalla parte opposta, avevano restituito un altro pezzo di mosaico; e nelle vicinanze, regolarmente, venivano alla luce frammenti di mattoni, lucerne e vasi datati. Il 1883 fu però particolarmente generoso per i mosaici, non solo per l’enorme quantità ma anche per la pregiata qualità. Ne fu studiato uno più grande e meglio conservato della norma, di forma quadrata e lungo più di tre metri, bianco con disegni colorati e sostanzialmente intero, tralasciando gli effetti di qualche colpo di arnese per rimuoverlo dalla terra. Quasi un unicum, poiché per il resto la fattura non era eccellente e le decorazioni non parevano perfette.
E le istituzioni? Chi tutelava quei reperti? Per studiarli scientificamente occorrevano scavi regolari, in quello come nei terreni adiacenti. Non esistevano tuttavia, dalle nostre parti, enti a ciò adibiti ufficialmente. Nessuna Commissione archeologica era insediata nel territorio, Monteleone ne era sprovvista. All’epoca si doveva e non si poteva, oggi spesso si può ma non si vuole.