Non si pensi che la buona educazione, segno di civiltà nelle società basate sulla divisione dei lavori, venga sovente a mancare oggigiorno a differenza dei tempi passati. Un caso risalente a quasi 150 anni fa ce lo ricorda.
Gli ulivi vibonesi sono abituati a soffrire innocenti, un po’ come la gente di Calabria. Consegnano alla popolazione della provincia un dignitoso sostentamento a fatica paragonabile ad altre attività. Migliaia di ettari, distribuiti in particolar modo a Oriente e a Meridione del circondario, sono in mano ad altrettante migliaia di aziende, fiere di valorizzare le nostre coltivazioni secolari. Un vanto che non tutti sanno apprezzare. Il 1883 si aprì con le ennesime incursioni di vandali ai danni di questi maestosi alberi. Il periodo storico era difficile per il Mezzogiorno, ma donne e uomini di sani princìpi si guadagnavano quel poco per vivere senza cedere a simili misfatti. Le campagne erano regolarmente devastate ai danni di chi rispettava la legge e credeva nella fraternità fra membri della stessa comunità. Il comune di Monteleone e quelli vicini presentavano scene desolanti: ulivi mutilati e sfregiati, talvolta lasciati privi di rami e con il tronco pesantemente deturpato. Notti brave, e poi la mattina accadeva una magia. Le piazze e le vie si riempivano di venditrici e venditori che fino a sera mettevano in bella mostra nuova legna da ardere, probabilmente proprio quella recisa poche ore prima. I volti, alla fine, erano ben noti alla popolazione, autorità comprese. Volendo, bastava chieder conto della sua provenienza e con enorme difficoltà si sarebbero potute accampare ragionevoli scuse. Un legittimo proprietario terriero mai si sarebbe sognato di mettere in atto tali comportamenti, mentre non si sa in quale modo una persona che non disponeva di ulivi potesse venderne la legna. Non erano sufficienti le vessazioni del giovane Stato italiano, al quale ogni due mesi era dovuta parte della propria rendita per pagare la rata d’imposta fondiaria… Ci mancavano soltanto i più barbari ladri! Scansafatiche che tirano a campare approfittando dell’onesto lavoro altrui. Forse qualcuno di loro avrà avuto sulla coscienza le famiglie che da quella legna dipendevano, o forse il disprezzo per la giustizia sociale la faceva da padrone.
Gli ulivi vibonesi sono abituati a soffrire innocenti, un po’ come la gente di Calabria. Consegnano alla popolazione della provincia un dignitoso sostentamento a fatica paragonabile ad altre attività. Migliaia di ettari, distribuiti in particolar modo a Oriente e a Meridione del circondario, sono in mano ad altrettante migliaia di aziende, fiere di valorizzare le nostre coltivazioni secolari. Un vanto che non tutti sanno apprezzare. Il 1883 si aprì con le ennesime incursioni di vandali ai danni di questi maestosi alberi. Il periodo storico era difficile per il Mezzogiorno, ma donne e uomini di sani princìpi si guadagnavano quel poco per vivere senza cedere a simili misfatti. Le campagne erano regolarmente devastate ai danni di chi rispettava la legge e credeva nella fraternità fra membri della stessa comunità. Il comune di Monteleone e quelli vicini presentavano scene desolanti: ulivi mutilati e sfregiati, talvolta lasciati privi di rami e con il tronco pesantemente deturpato. Notti brave, e poi la mattina accadeva una magia. Le piazze e le vie si riempivano di venditrici e venditori che fino a sera mettevano in bella mostra nuova legna da ardere, probabilmente proprio quella recisa poche ore prima. I volti, alla fine, erano ben noti alla popolazione, autorità comprese. Volendo, bastava chieder conto della sua provenienza e con enorme difficoltà si sarebbero potute accampare ragionevoli scuse. Un legittimo proprietario terriero mai si sarebbe sognato di mettere in atto tali comportamenti, mentre non si sa in quale modo una persona che non disponeva di ulivi potesse venderne la legna. Non erano sufficienti le vessazioni del giovane Stato italiano, al quale ogni due mesi era dovuta parte della propria rendita per pagare la rata d’imposta fondiaria… Ci mancavano soltanto i più barbari ladri! Scansafatiche che tirano a campare approfittando dell’onesto lavoro altrui. Forse qualcuno di loro avrà avuto sulla coscienza le famiglie che da quella legna dipendevano, o forse il disprezzo per la giustizia sociale la faceva da padrone.
Se all’epoca lo si faceva per fame, adesso pare che la preminenza l’abbiano le vendette e le intimidazioni. La vittima è però sempre lei, la natura che con tanto amore ci nutre e ci sostiene.