Quando a Vibo Valentia fioriva l’industria dei bachi da seta: le ragioni di una storia interrotta

Ai motivi naturali si sommarono quelli umani; la scienza aveva le risposte per i primi, ma non per i secondi

Quella bacologica era una tra le più proficue anche da noi e nei dintorni di Monteleone. Conveniva a tutti: ai proprietari, ai contadini e agli operai. Nella seconda metà dell’Ottocento, tuttavia, una serie di problemi iniziò a determinarne la progressiva scomparsa.

Fino ai decenni precedenti riusciva a dare lavoro senza soluzione di continuità, con paghe certo dignitose. Famosi erano tre filatoi di ottima lega, caduti in disuso quando alcune malattie colpirono i bachi.

Fino ai decenni precedenti riusciva a dare lavoro senza soluzione di continuità, con paghe certo dignitose. Famosi erano tre filatoi di ottima lega, caduti in disuso quando alcune malattie colpirono i bachi.

Il colpevole principale fu l’atrofia, patologia epidemica che si trasmetteva ereditariamente e che impediva il normale funzionamento degli organi. I gelsi, le cui foglie potevano infettare i piccoli animaletti, furono ridotti a combustibile per i focolari.

A questa si aggiungeva inoltre la flaccidezza, nome sotto cui gli scienziati del tempo facevano ricadere più morbi conosciuti da sempre: anch’essa aveva carattere epidemico e faceva morire i bachi rendendoli molli.

Non da meno era il calcino, infermità provocata da un fungo parassita e consistente nella proliferazione delle sue ife su tali insetti. Un decorso da film horror: le spore germinate espellono filamenti che penetrano nel corpo del baco, producono un intreccio di fili che interessa ogni tessuto, uccidono l’animale e fuoriescono dall’organismo per proliferare altrove.

Se queste e altre non potevano essere curate, quantomeno potevano essere prevenute. La migliore soluzione non era che procurarsi semi immuni dai germi pericolosi, forniti da rinomati stabilimenti bacologici siti soprattutto nell’avanzata Lombardia. Accadeva però che qualcuno, fiutato l’affare, spacciasse per semi buoni degli ordinarissimi semi non controllati al microscopio. Gli acquirenti risparmiavano così qualche lira, ma si ritrovavano in seguito a dover mandare al macero l’intero allevamento!

Eppure una maniera per rendere innocui quei farabutti c’era: bastava far sì che i maggiori produttori locali si associassero, riunendo la varie partite di bozzoli, di modo da venderle direttamente nelle più rilevanti piazze commerciali, surclassando con prezzi convenienti i malviventi frodatori. In una spirale virtuosa, si sarebbero così ottenuti i proventi utili per l’aumento della produzione – sana – , mantenuta nel tempo rispettando le irrinunciabili norme igieniche.

Non mancava chi si faceva paladino di una simile proposta, ma lo spirito individualistico ebbe la meglio. Come in altre circostanze, a tutti i costi si evitò di unire le forze in vista di un obiettivo comune. Tutti lo evitarono e, alla fine, tutti soccombettero.

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