L’estate del 1883 fu una parentesi particolarmente calda per Monteleone, non tanto in termini climatici quanto a livello sociale. In sei giorni la nostra Corte di assise celebrò un processo che emozionò e commosse il pubblico coinvolto.
In quegli anni a Monterosso abitava una ragazza molto avvenente e più che desiderata dai fanciulli paesani. Chiunque bramava la mano di Marianna Mancuso, figlia di un povero sarto che tuttavia si era potuta permettere un’educazione di tutto rispetto. Eppure non ve n’era uno che le garbasse. Non si era ancora palesato quello che sarebbe divenuto l’amore di una vita, un certo Peppino Massara studente del Liceo classico Filangieri.
In quegli anni a Monterosso abitava una ragazza molto avvenente e più che desiderata dai fanciulli paesani. Chiunque bramava la mano di Marianna Mancuso, figlia di un povero sarto che tuttavia si era potuta permettere un’educazione di tutto rispetto. Eppure non ve n’era uno che le garbasse. Non si era ancora palesato quello che sarebbe divenuto l’amore di una vita, un certo Peppino Massara studente del Liceo classico Filangieri.
I primi giorni furono puro infatuamento, l’innamorata e l’innamorato non c’erano che l’una per l’altro. Peppino era un signore di alta condizione sociale e la sua famiglia non poteva vedere di buon occhio la novella relazione avviata. I tentativi di divisione non trovarono compimento e spinsero anzi i due, finalmente, alla fuga pianificata. Portarono con sé solo quanto furono in grado di raccattare in fretta e furia, ma la meta fu presto còlta dai rispettivi familiari: la lontana isola di Malta! Marianna non gradiva comunque la posizione equivoca dell’amato, mai troppo chiaro sulla sua volontà matrimoniale. Anche soltanto il rito ecclesiastico sarebbe bastato per lei, l’importante era sposarlo. A porre i bastoni fra le ruote si aggiunse pure il destino, il quale le impedì di trovare un prete disponibile ad accettare ingenti somme di denaro pur di unirli in nozze; le carte non erano in regola e non ci fu nulla da fare, né a Catania né a Malta. Per costringerli al ritorno a casa intervenne la dipartita del padre di lui. Un dolore personale potenzialmente commutabile in rimozione dell’ostacolo allo sposalizio. E invece ancora niente, e stavolta toccò alla giustizia metterci lo zampino: Peppino fu arrestato per un’accusa inflittagli durante la sua assenza!
Si compirono i giorni del carcere e nel frattempo era venuta alla luce una splendida figlia dalla loro unione. L’avrebbe riconosciuta e fatta sua? Il cuore del papà si chiuse all’amore, non in generale ma a quell’amore, perché oramai adulto agognava la vicinanza di una moglie dalla dote consistente. Una lettera capitata per sbaglio nelle mani di Marianna fu la prova più eloquente del cambiamento: Peppino era promesso sposo a Pizzo; e non con lei, su cui pendeva l’inevitabile epilogo della cacciata di casa. Gli urlò contro e lui sghignazzava. Avrebbe potuto scegliere la via della prostituzione, e diversamente lo colpì con un coltello di notte, uccidendolo. Le accuse caddero su di lei assieme con suo padre, però per correttezza ella stessa lo scagionò, confessando il delitto.
Marianna fu assolta, considerando le pene attraversate. E il benevolo verdetto fu accolto con fragorosi applausi dalle persone che assistettero ai confronti in aula.