Un incontro casuale per strada, una proposta, la sua accettazione. Così nacque un articolo fra i più interessanti de ‘L’avvenire vibonese’, utile per svelare il funzionamento interno di un istituto educativo rivolto alle ragazze.
L’autore era Nicola Misasi, scrittore e giornalista nominato professore di Letteratura italiana presso il nostro Liceo Filangieri. Imbattutosi un giorno nel poeta Carlo Massinissa Presterà, partorì in quelle ore un memorabile scritto. Presterà, docente e ispettore scolastico del circondario, era collaboratore fisso di copiose testate, spesso in qualità di archeologo, storico e folclorista. Questi invitò su due piedi il giornalista ad accompagnarlo in educandato, giuridicamente una congregazione di carità – istituzione pubblica statale – , per assistere alle verifiche orali delle educande.
L’autore era Nicola Misasi, scrittore e giornalista nominato professore di Letteratura italiana presso il nostro Liceo Filangieri. Imbattutosi un giorno nel poeta Carlo Massinissa Presterà, partorì in quelle ore un memorabile scritto. Presterà, docente e ispettore scolastico del circondario, era collaboratore fisso di copiose testate, spesso in qualità di archeologo, storico e folclorista. Questi invitò su due piedi il giornalista ad accompagnarlo in educandato, giuridicamente una congregazione di carità – istituzione pubblica statale – , per assistere alle verifiche orali delle educande.
La sala era colma di donne e fanciulle, giovinette ben vestite in grembiule e graziosissime nei modi. Grammatica, Storia, Geografia, Aritmetica, Francese… Molto brave nel ripetere i concetti appresi, ma si esprimevano tutte come libri stampati, non avevano fatto altro che imparare a memoria le lezioni! A essere esaminate, alla presenza di commissari nonché delle suore insegnanti, vi erano discenti di qualsiasi età fino alle soglie dell’ingresso nel mondo adulto. Nel frattempo la mente di Misasi non faceva che rimuginare sulla propria convinzione di nocività della vita in comune per le giovani donne: danni al carattere, ai costumi e all’iniziazione al futuro ruolo di madre; eppure in quella circostanza si stava ricredendo, l’educandato di Monteleone pareva funzionare sul serio, non a caso tra le istituzioni meglio prosperose in città. Le suore stavano crescendo soggetti alquanto ordinati e in salute, diligenti e puliti. La visita ai luoghi interni, alcuni ricchi dei “lavori donneschi” realizzati nei tempi di ricreazione, non fece che confermarlo.
Non si poteva comunque tacere sui nèi rilevati durante le prestazioni d’esame. Le interrogate rispondevano quasi immediatamente alle domande, senza riflettervi su, con una cadenza monotona e sgradevole della voce; assomigliavano ai pappagalli che articolano parole e frasi senza avere alcuna idea del significato. Era evidente come si puntasse tutto sulla memoria, limitando l’uso e lo sviluppo del critico raziocinio. Perché far spendere ore e ore a memorizzare interminabili elenchi di nomi e date, rinunciando a dedicarsi ad attività più utili quali la lettura o la culinaria? E poi la ridicola declamazione delle poesie, con plateali gesti delle mani tutt’altro che convenienti e spontanei; meglio educare a saper leggere e non costringere bambinette a vani teatrini.
Di estremo rilievo il saggio musicale finale, reso possibile da un valente maestro. Il tutto si concluse con la consegna di premi a ciascuna, e di fatto a nessuna: o si educa al merito o si finge un’uguaglianza inesistente nella società.