La mafia dell’antimafia e i suoi falsi eroi, un’Italia di omertà e corruzione ai vertici dello Stato

Quando i romanzi nascono dal giornalismo d'inchiesta: il "sistema Saguto", associazione istituzionale (!) a delinquere

“Se Leonardo Sciascia fosse stato ancora vivo, avrebbe tratto da queste carte il capolavoro della sua vita”. Lui che, con l’acume del grande scrittore, mai in decenni di carriera si era imbattuto in una storia così sorprendentemente surreale e dannatamente vera. Ombre e chiaroscuri, detto e non detto, buoni cattivi e cattivi buoni: gli ingredienti per un suo romanzo ci sarebbero stati tutti.

Ne è convinto il giornalista Lucio Luca, per la seconda volta ospite dell’operatrice culturale Concetta Silvia Patrizia Marzano nel contesto della rassegna di cultura letteraria e demo-etno-antropologica ‘Un libro al mese: “Visti da Vicino”’, appuntamento che conosciamo dal 2014 e ora inserito nel primo progetto italiano di cultura diffusa extraterritoriale. Un vanto vibonese di caratura nazionale, promosso localmente dall’Associazione di Promozione Sociale L’isola che non c’è.

Ne è convinto il giornalista Lucio Luca, per la seconda volta ospite dell’operatrice culturale Concetta Silvia Patrizia Marzano nel contesto della rassegna di cultura letteraria e demo-etno-antropologica ‘Un libro al mese: “Visti da Vicino”’, appuntamento che conosciamo dal 2014 e ora inserito nel primo progetto italiano di cultura diffusa extraterritoriale. Un vanto vibonese di caratura nazionale, promosso localmente dall’Associazione di Promozione Sociale L’isola che non c’è.

L’autore palermitano ha presenziato giovedì 20 giugno per un evento privato nel Palazzo Marzano, regalando anche al pubblico collegato in diretta da tutta Italia l’anteprima calabrese di una nuova fatica letteraria, presentata l’indomani al ‘Trame – Festival dei libri sulle mafie’ di Lamezia Terme.

Fattosi le ossa in particolare nelle Redazioni del Giornale di Sicilia e de L’ora, i suoi àmbiti di riferimento sono la cronaca e lo sport fino alla cultura, che da oltre trent’anni affronta sulle pagine de la Repubblica. Negli ultimi tempi si sta soffermando su argomenti decisamente scomodi per il comune sentire, non sfiorati intangibilmente in fugaci articoli per il Web bensì scandagliati a fondo in centinaia di pagine acquistabili in libreria. Ha scelto lo strumento del libro: far leggere tutto d’un fiato le storie, totalmente vere, che mette in scena come fossero romanzate.

In ‘Quattro centesimi a riga. Morire di giornalismo’, ripreso nella serata vibonese, aveva schiaffato in faccia a lettrici e lettori la piaga del precariato nel giornalismo; statistiche alla mano, chi fa questo mestiere è quasi sempre privo di un regolare contratto e guadagna al massimo 5.000 € lordi annuali, con la ovvia costrizione di impiegarsi in altre mansioni contemporaneamente. E ogni tanto ci scappa il morto suicida per disperazione, alle spalle di editori disumani che inseguono il facile ritorno economico calpestando la deontologia – ne sapeva qualcosa il protagonista cosentino Alessandro Bozzo… – .

Nell’appena pubblicato ‘La notte dell’Antimafia. Una storia italiana di potere, corruzione e giustizia negata’ si tratteggia invece, con punte di umorismo esilarante, la vicenda più che assurda della giudice Silvana Saguto, proclamatasi allieva di Falcone e Borsellino e un tempo individuata come icona dell’antimafia. Sino a un ventennio addietro fu integerrima nella lotta alla criminalità organizzata, durissima contro la malavita. Finché, arrivata a gestire nel Tribunale di Palermo quantità abnormi di beni confiscati, la foga del potere non ne prese possesso, rendendola irriconoscibile agli occhi di chi ne stimava l’integrità. Milletrecento fogli di intercettazioni di pochi mesi furono sufficienti per rendersi conto del sistema da lei usato per distruggere l’imprenditoria a vantaggio delle proprie tasche, con la complicità perfino di donne e uomini dello Stato, una su tutti la prefetta – la maggiore carica istituzionale sul territorio – .

Cosa è cambiato con il suo arresto? Di fatto nulla. Era solo un bullone dell’ingranaggio, un’associazione a delinquere nota, nella muta omertà, a qualsiasi professionista del Palazzo di Giustizia. “Io sono come Dio onnipotente e nessuno può dirmi di no!” si sente in una telefonata intercettata. Il problema è che non aveva torto: trenta miliardi di euro giacevano nella sua criminale discrezionalità.

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