Tra il luglio e l’agosto del 1883 il colera era infine giunto nel continente europeo, e pure dall’altra parte del Mediterraneo stava facendo strage in Egitto. L’allora Monteleone cercò così, sulla carta, di intervenire evitando la disfatta.
Anche da noi una Commissione sanitaria fu nominata, su indicazione del Governo nazionale, al preciso fine di impedire la vendita di cibi andati alla malora e vigilare rigorosamente sull’igiene dei luoghi pubblici e degli spazi privati. Entrata in azione, tuttavia, le cittadine e i cittadini si resero conto che gli atti espletati andavano ben oltre i compiti assegnatile, con la perdita totale del focus sull’evitamento del colera. Giunsero di conseguenza le prime segnalazioni alla stampa, che prontamente denunciò veri e propri soprusi ai danni del popolo lavoratore.
Anche da noi una Commissione sanitaria fu nominata, su indicazione del Governo nazionale, al preciso fine di impedire la vendita di cibi andati alla malora e vigilare rigorosamente sull’igiene dei luoghi pubblici e degli spazi privati. Entrata in azione, tuttavia, le cittadine e i cittadini si resero conto che gli atti espletati andavano ben oltre i compiti assegnatile, con la perdita totale del focus sull’evitamento del colera. Giunsero di conseguenza le prime segnalazioni alla stampa, che prontamente denunciò veri e propri soprusi ai danni del popolo lavoratore.
In larga parte la Commissione preferiva occuparsi della contravvenzione di qualche frutto all’apparenza non in condizioni perfette, alla vista un po’ ammaccato o leggermente acerbo. Non erano affatto vivande insalubri o soggette a sofisticazione, e in ogni caso questo tipo di controlli perteneva già alla normale amministrazione di una città, senza abbisognare di apposite commissioni o commissari. Quelle quattro o cinque lire guadagnate per un cesto di frutta o spese per pagare la sanzione non tenevano conto della gravissima situazione in cui contemporaneamente versavano interi quartieri.
Il pane continuava a essere preparato con ingredienti più che scadenti e di scarto, le vie erano ormai talmente fetide da ostacolare il respiro, a due passi dal centro le fogne inquinavano l’aria perché non ricoperte da alcunché, i letamai versavano indisturbati alle porte urbane. Non si taccia delle case di mulattieri e asinai nel rione Carmine, dove una famiglia con una mezza dozzina di componenti si trovava costretta a vivere in compagnia delle bestie, talvolta ammalate; case necessariamente sottoposte alle pulizie solo ogni quindici o venti giorni, per mancanza di tempo da dedicare il più possibile al lavoro.
I soldi pubblici, in un momento di allarme, vennero spesi a vuoto per mansioni regolarmente svolte da altri. Il pericolo poteva fungere da occasione per risolvere annose questioni di miseria. Ma neppure quella fu la volta buona.