Rivoluzione luminosa negli anni Settanta: strade vibonesi dal buio alla luce, e altri lavori urbani

Molti quartieri divennero più sicuri di notte grazie alla luce e vari nuovi tragitti furono inaugurati e pavimentati

Volere è potere. In una fase di interregno per l’amministrazione di Vibo Valentia, quale fu il 1972, per un’annosa questione si intravide all’orizzonte un barlume di soluzione. E la città si proiettava così verso le sfide della modernità.

L’alquanto apprezzato senatore Antonino Murmura aveva consegnato le proprie dimissioni da sindaco e a farne le veci venne in soccorso l’anziano assessore Pietro Paolo Blandino, subissato di innumerevoli faccende che si trascinavano con crescente gravità da tempo immemorabile. La vera sorpresa fu che per non poche di queste si identificarono altrettanti rimedi, a partire dall’illuminazione.

L’alquanto apprezzato senatore Antonino Murmura aveva consegnato le proprie dimissioni da sindaco e a farne le veci venne in soccorso l’anziano assessore Pietro Paolo Blandino, subissato di innumerevoli faccende che si trascinavano con crescente gravità da tempo immemorabile. La vera sorpresa fu che per non poche di queste si identificarono altrettanti rimedi, a partire dall’illuminazione.

Il rione nuovo, Via Filanda, Piazza Ospedale, Via Sant’Aloe e la strada per Triparni potevano finalmente disporre di lampioni che lumeggiavano a giorno, con evidenti ripercussioni positive sulla loro sicurezza nelle ore notturne. In più, dopo oltre cinque anni di lavori che sembravano non dover concludersi, l’iconico Viale Regina Margherita era nella condizione di sfoggiare la pavimentazione al completo; un passeggio accompagnato dalla bitumazione di parecchie strade interne al rione Cancellorosso, nonché dall’apertura di una percorrenza che congiungeva l’ospedale civile con Via Sant’Aloe fino a raggiungere il campo sportivo – con bitumazione solo parziale – .

Era, quella, zona delicata nel centro cittadino, in particolare per ragioni igienico-sanitarie: una specie di viadotto abbandonato raccoglieva tutte le acque di rifiuto provenienti pure dagli altri quartieri, e bisognava in qualche maniera intervenire coprendolo o pulendolo; qualcuno aveva inoltre, indisturbato, fatto costruire abusivamente baracche minute che servivano da pollai o stalle o garage o pozzi neri. Spostandoci a Sud, inevitabile ai fini di un decongestionamento del traffico sarebbe stata la ristrutturazione a beneficio del Ponte dello Spogliatore e dell’arteria che lo attraversa, percorribile senza tuttavia bitumatura. Mentre, guardando a Nord-Est, ormai improrogabile risultava essere l’ampliamento del cimitero, per il quale da poco si erano stanziati 130 milioni di lire: neppure un metro quadrato di terreno o un solo loculo erano disponibili per la sepoltura dei corpi; un campo santo da sold out!

La Vibo Valentia che vediamo quotidianamente non è sempre apparsa uguale a chi l’ha abitata. Rammemorare i suoi progressivi mutamenti ci aiuta a sperare nella facoltà di cambiare le cose: nulla c’è di eterno.

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